Le imprese
con Draghi
chiedono
continuità

Politica messa in castigo, o almeno tra parentesi, ieri all’Assemblea di Confindustria, finalmente riunita in presenza con larga partecipazione. La politica dei partiti, beninteso, non quella delle istituzioni, a giudicare dall’ovazione a Mario Draghi e dagli applausi scroscianti alla semplice evocazione del presidente Mattarella. In alcuni passaggi, c’è stata addirittura una esortazione a stare alla larga, a non mettere «i bastoni tra le ruote». Confindustria, ha detto il presidente Carlo Bonomi, «si opporrà a tutti coloro che vorranno intralciare il processo delle riforme» e in particolare «a chiunque flirta con i no vax anziché pensare alla sicurezza dei cittadini e dei lavoratori».

Una vera e propria disponibilità a fare i cani da guardia della tenuta del governo, senza che «i partiti attentino alla sua coesione, pensando alle amministrative con veti e manovre». Una condanna quasi infastidita per chi si attarda «nel gioco del risiko delle bandierine del consenso effimero».

«Basta rinvii, basta giochetti, basta veti. Davvero basta» ha scandito un Bonomi quasi della prima ora, quando fu eletto a pieni voti nell’epoca in cui sferzava l’Italia della spensierata decrescita felice e di quota 100, di cui ha ora osteggiato qualsiasi futura versione «travestita», perché definita «un furto» verso i più deboli.

Neppure un accenno di cortesia ai governi Conte, anzi l’apprezzamento per le prime 80 pagine del Pnrr (Piano nazionale ripresa resilienza), quelle riscritte dal nuovo governo. Tutta l’attenzione è stata concentrata su Draghi, definito «uomo della necessità» in continuità solo con De Gasperi, Baffi e Ciampi, modello alternativo agli «uomini del possibile», quelli del «calcio alla lattina», cioè del rinvio, del non fare. Da qui quindi il molto esplicito invito a garantire che Draghi «continui a lungo» nella sua azione, senza deviazioni sulla via del Quirinale. Voltando le spalle ad un sistema di partiti, cui ha dedicato nel finale una frase di Luigi Einaudi sulla politica «come ricerca della verità e non come presunzione di conoscerla già», è emerso per differenza l’appello a collaborare e lavorare insieme, rivolto in modo molto caloroso ai sindacati. Su tante cose, ha detto, possiamo fare meglio noi parti sociali, così come è accaduto durante i mesi più duri della pandemia.

Un Patto per l’Italia che Draghi ha subito fatto suo, traducendolo con l’espressione «prospettiva economica e sociale condivisa». E non ha fatto certo piacere al ministro Orlando il paragone, fatto a braccio dal premier, con gli anni ’70, quando si è rotto il «giocattolo» fin ad allora ben funzionante di buone relazioni tra le parti sociali.

Un ricorso alla storia, da associare alle critiche di Bonomi sulla cattiva gestione del blocco dei licenziamenti (una «sciocchezza» averla ritenuta una panacea) e l’assenza di proposte sulle politiche attive, con annessa esortazione ad una ricerca comune con i sindacati per «strumenti» nuovi che «la politica non vede».

Nella sua risposta fuori dal testo scritto, Draghi ha fatto il modesto: «Un governo che cerca di non far danni è già molto, ma non basta». Occorre almeno una condivisone nella società civile, e in questo l’accoppiata Confindustria-sindacati potrebbe davvero essere decisiva.

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