Tagliare le tasse
un compito immane

L’esercizio di equilibrio a cui è chiamato Mario Draghi nella politica economica è di essere, come si dice oggi, multitasking: sapere far bene molte cose, tutte diverse, e tutte insieme. Lo hanno chiamato per spendere i miliardi del pacchetto Europa, ma c’è anche tutto il resto: far quadrare i conti «normali», utilizzando la leva del fisco e la forbice dei tagli. Prendiamo la questione tasse. Nel discorso inaugurale il premier si è complicato la vita, spiegando che è troppo comodo occuparsi di una tassa per volta, e occorre una visione complessiva.

Enunciato impeccabile, ma la riforma generale è all’inizio molto costosa. Introdurre equità ma anche accelerazione all’economia, non è un pasto gratis, anche se tanti ancora la raccontano così. Dunque, primo problema: smontare la più facile promessa del mondo - tagliare le tasse e basta - perché tanto piovono miliardi. È falso, i soldi che servono non possono venire dal Recovery. È vietato, e sarebbe da imbroglioni anche solo pensarlo. Quando lo ha sospettato, il commissario italiano a Bruxelles Gentiloni, ha invocato pietà: non facciamo i «soliti» italiani.

Secondo problema: non c’è nulla di più politico del fisco. Basta una piccola ricognizione. Per l’Irpef, bisognerebbe rimediare all’ingiustizia dell’aliquota centrale, che mette sullo stesso piano un arco di redditi molto diversi che riguardano proprio il ceto medio e le generazioni in ascesa. Ma come rimodulare?

Altro nodo: bisogna ridurre le tasse sul lavoro, se vogliamo sviluppo ed occupazione. Bene, ma costa almeno 32 miliardi. Dove li prendiamo? Negli anni spensierati del reddito di cittadinanza e quota 100, abbiamo nascosto sotto il tappeto la questione Iva. Vale 5 miliardi a punto, ma il costo in più dei beni di consumo chi lo spiega a commercianti e pensionati? Prendiamo allora i redditi di impresa: li tassiamo proprio mentre c’è questa crisi epocale e dobbiamo evitare licenziamenti? E le imposte sulla casa? Una patrimoniale, l’Imu, c’è già e come si fa a proporne l’estensione, proprio mentre c’è un blocco degli sfratti che resta granitico, persino per gli sfratti pre Covid? E si può mai tassare il risparmio, l’unica cosa buona che è cresciuta in pandemia? Gli investitori esteri sono già in fuga e quelli nostrani amano l’Italia, ma non i suoi rischi di sistema. Resterebbero quelle che Carlo Cottarelli, per fortuna imbarcato al ministero da Brunetta, ha chiamato microimposte tagliabili, da quella sulle patenti a quella sui funghi. Sono una ventina, ma nell’insieme frutterebbero solo 685 milioni.

Vedete bene quale immane compito si è assunto Draghi. Se poi giriamo pagina e cerchiamo tagli, altra questione tutta politica, ci sarebbe il capitolo dei sussidi alle imprese (molti a quelle di Stato), ma poi come la mettiamo con la recessione? Resterebbero le «taxes expenditures», che piacevano tanto al Di Maio prima versione che le metteva insieme ai miracolosi tagli della politica. Si tratta di una miriade di agevolazioni, eccezioni, privilegi, rinvii. Facile dire tagliamo, ma prova a inoltrarti nell’intricata foresta del corporativismo italiano… In squadra, insieme a qualche sottosegretario che crede nelle scie chimiche, lasciando a casa gente seria e preparata, per fortuna Draghi si è portato un Francesco Giavazzi che su queste cose non può giocarsi la reputazione, ma non illudiamoci che siano cifre decisive. Ma allora, se ci sono tutte queste difficoltà, anche San Draghi dovrà arrendersi?

Vogliamo solo dire che sarebbe bene finalmente non dar ascolto a chi la fa semplice. Abbiamo visto a cosa ha portato: l’abolizione della povertà e la dignità ottenuta per decreto. Con i piedi per terra il citato Cottarelli ha individuato 91 punti chiave per venirne fuori. Cose che non costano come migliorare il dialogo tra imprese e pubblica amministrazione, eliminare gli ostacoli per l’edilizia privata, alleggerire la burocrazia, avere un modello di giustizia non manettaro alla Bonafede, ma snello ed equo.

Insomma, profittando del (provvisorio) ombrello Recovery e dei 150/170 miliardi l’anno con cui la Bce copre il debito, c’è l’occasione per cambiar pelle all’Italia furbetta e piagnona, e magari dare un bel segnale alle eterne Alitalia da sovvenzionare.

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