I cantautori: musica, poesia e spiritualità

L’INTERVISTA. Nel libro di Filippo Sala il legame tra Battiato, Guccini, De André, Zucchero e i grandi della letteratura italiana, da Dante a Montale. «Sono artisti di frontiera: letteraria, umana ed esistenziale».

Musicista, docente, esperto in linguaggi dei media, Filippo Sala tiene lezioni in «Cattolica» sul rapporto tra musica, letteratura e spiritualità. Ha scritto il libro «Cantautori di frontiera» (Le Lettere) consapevole del fatto che le canzoni scrivano pagine di storia contemporanea e i cantautori diventino fatalmente «viaggiatori anomali tra musica, parole e spiritualità». Recita così il sottotitolo del suo saggio, estensione di una già cospicua tesi di laurea. Lo presenta oggi, 21 novembre, in un locale cittadino, «UnPlug» di via Broseta 57 (inizio ore 21.30; prenotazione consigliabile), con un piccolo spettacolo, una sorta di reading con tanto di canzoni, giusto per evitare i soliti sproloqui a tratti noiosetti.

L’attrice e regista Anna Troiano legge l’incipit dei capitoli in cui è diviso il volume, Vincenzo Rucci accompagna l’autore cantautore nell’esposizione di qualche brano scelto ad hoc. «Cantautori di frontiera» parte da una celebre frase di John Lennon e attraversa un pezzo di storia della canzone d’autore italiana, prendendo in esame l’esperienza artistica, letteraria e poetica di quattro protagonisti: Battiato, Guccini, De André, Zucchero. Sappiamo che le canzoni s’intrecciano ai contesti sociali e contribuiscono a fare la storia del Paese, della società. Nel saggio di Filippo Sala l’esplorazione focalizza sei decenni del nostro costume, della cultura italiana.

«Nel libro collego certe composizioni degli autori presi in esame alla poesia dei grandi padri della letteratura italiana, Dante, Petrarca, al loro stesso rapporto con la spiritualità. La frontiera nasce da questo, dal fatto che certi artisti, magari inconsciamente, poi consapevolmente, hanno dimostrato di avere una forte liaison con l’universo del sovrasensibile, del trascendente».

I cantautori sono viaggiatori in cerca di qualcosa.

«Gli artisti di cui parlo hanno questa vena nel loro percorso. Lo dicono i segnali di vita di Franco Battiato, le radici di Guccini che affondano nella Beat Generation, nella poesia di Montale, Caproni, lo stesso Zucchero in “Miserere” mette venti parole del “Canzoniere” di Petrarca. Resta in equilibrio tra diavolo e acquasanta. Di Fabrizio De André ho scelto “Preghiera in gennaio” perché volevo parlare del “Purgatorio” di Dante, per fare capire quanto fosse rivoluzionaria quella canzone che riferiva al tessuto della “Commedia”. Il senso della frontiera è questo: la frontiera è letteraria, poi c’è quella umana, esistenziale. Questi cantautori a modo loro, a varie gradazioni, hanno sempre cantato gli ultimi, i dimenticati, i diseredati. Zucchero non lo dà a vedere, ma anche lui parla della solitudine. De André è molto più figurativo, è un quadro quanto racconta le cose. Guccini ha uno spirito più americano, da chitarra, Battiato è un uomo cosmico, quando guarda le cose riesce ad andare oltre, ha la capacità estrema di farsi raggiungere da tutti».

Da musicista che esperienze ha fatto?

«Suono da tantissimo. Per anni ho frequentato l’ambiente creativo, sperimentale e surreale del rock demenziale. Ho suonato con gli Skiantos, e ho avuto la fortuna di conoscere Freak Antoni. È stata una bella esperienza, in scena mettevano me e un altro cantante nei sacchi della spazzatura, al momento opportuno ne uscivamo per dire che eravamo più forti del loro rifiuto. Avevo 17 anni. Dopo quell’esperienza ho cominciato a lavorare ad un progetto divulgativo sul recupero della tradizione. Con il mio gruppo Milanestrone rileggiamo la grande tradizione della canzone di Milano, da Jannacci a Gaber, Nanni Svampa, Monti, canzoni popolari e mie. Le serate le chiudiamo con Dargen D’Amico e “Dove si balla”. Vogliamo dimostrare che la canzone è materia viva».

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