Cocciante sabato in Fiera, con poesia

A modo suo Nato in Vietnam, profondamente influenzato dai cantautori francesi di maggior classe, ha sempre seguito la sua strada personale: quando in Italia furoreggiava il cantautorato politico lui rispondeva da esperto dei sentimenti e delle melodie, cantando «Margherita».

Riccardo Cocciante è tornato sul palco dopo dieci anni, scegliendo le arene, per ricreare un contatto ravvicinato con il pubblico. Arriva sabato 23 luglio alla Fiera di Bergamo, accompagnato dall’Orchestra Saverio Mercadante diretta dal maestro Leonardo De Amicis (inizio 21.30; biglietti disponibili). La prevendita a oggi si è mossa senza correre e Cocciante probabilmente non vincerà al borsino del pop di questa nostra estate in Fiera. Vincono, in casa, i Pinguini Tattici ed è un bene e un male allo stesso tempo. Un bene perché è giusto che un gruppo giovane si faccia strada, veda riconosciuta la propria arte pop; un male perché nel mondo della musica d’oggi, complici i social e un sistema comunicativo asfissiante, chi ne è fuori, chi non si presta, chi si affida alla tradizione della sua arte e basta, rischia di essere in qualche modo penalizzato. Qui non si tratta di mettere a confronto niente, ma solo di guardare la realtà per come si manifesta in un tempo come quello che stiamo vivendo.

Un cantautore di classe assoluta

La storia della musica parla per Cocciante. Un cantautore di classe assoluta, un musicista di grande talento e respiro. È anche un imprenditore, artefice primo di un musical come «Notre Dame de Paris» che ha fortemente segnato la sua avventura artistica, con milioni e milioni di spettatori sparsi in tutto il pianeta. Insieme a «Jesus Christ Superstar» e «Cats» è verosimilmente l’opera pop moderna più vista, con vent’anni di repliche. La forza del Cocciante cantautore e musicista sta tutta nel suo non stare dentro una moda, nell’aver rifiutato nel tempo di muoversi lungo le direttrici dei luoghi comuni del pop. È un artista che si è orientato sulla strada maestra, senza accodarsi a nessuno, costruendo pervicacemente il suo stile. Le canzoni lo dimostrano. Quando ha scritto «Margherita» in Italia furoreggiava la canzone impegnata, non proprio politica, ma d’impegno. E lui era altrove, lo era già stato prima, agli esordi, quando l’album «Mu» metteva in campo un concept fantasioso e spiazzante.

Alle didascalie politiche e sociali, rispondeva da esperto dei sentimenti, delle melodie che abbracciano e non se ne vanno più. Alla canzone schierata ha sempre preferito quella allegorico-sentimentale che racconta pensieri, stati d’animo. Non fa un disco dal 2005, eppure in tutti questi anni ha vissuto di canzoni, anche delle meraviglie che ha scritto per «Notre Dame de Paris». Verrebbe da dire che ha assecondato il flusso di due carriere: quella del cantautore a un certo punto è finita in stand by, si è messa in pausa per dare spazio al musical, nato in Francia, tradotto in otto lingue, diffuso in mezzo mondo, Cina e Corea comprese.

Padre italiano, madre francese, Cocciante è cresciuto in Vietnam fino a 11 anni. Quando è arrivato a Roma ha dovuto trovare il bandolo di un’altra cultura. Ha approfondito la cultura musicale italiana seguendo la televisione, quella francese, ascoltando la canzone alta. Poi è rimasto sempre in bilico tra le due vie. E quando dice che è il cantautore più francese degli italiani e più italiano dei francesi in fondo ha ragione. Al Festival di Sanremo c’è andato una volta sola, nel 1991, vincendo con «Se stiamo insieme». Una volta ha fatto il giudice a «The Voice», poi ha scelto di non continuare. A Cocciante non piace rimaner prigioniero di un meccanismo, di un’abitudine.

Non gli piace rimaner prigioniero di un meccanismo

Preferisce esser libero di alimentare la personale creatività. Alla musica plastificata a tutta elettronica che va oggi predilige la semplicità della canzone, di un melodismo esemplare che è valso hit intramontabili. Ora per lui è venuto il momento di ristabilire il contatto diretto con il pubblico, attraverso le canzoni, un’esibizione possibilmente ravvicinata, al riparo dalla logica imperante dei mega show. Oggi che un megaconcerto non si nega a nessuno, Riccardo Cocciante sceglie di rimettersi in gioco senza tante storie, senza troppi effetti, con la forza di un’orchestra, delle melodie, delle parole che toccano l’anima. La parole d’ordine è ritrovare il lato umano del palcoscenico, sul palcoscenico. Senza sequenze, programmatori, videoinstallazioni, laser. Così il contatto può solo migliorare, diventare umano e sincero, sinceramente musicale.

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