«Il mio orecchino ? Un impianto cocleare: credetemi, è molto più bello di una perla»

Mozzanica, la storia di Elisa Rossoni: ha superato una sordità profonda ed è diventata artista a Venezia: ora si racconta con le sue opere

Dentro una ferita non c’è solo dolore: per chi è capace di guardare è un’apertura che rivela un miliardo di stelle, un intero universo di possibilità da cui può partire un cammino di rinascita. Elisa Rossoni di Mozzanica lo dice con un’opera d’arte, «Travma/nous» (dal greco ferita-intelletto), che l’anno scorso ha presentato come lavoro di tesi alla fine del suo percorso triennale di studi all’Accademia di Belle Arti Carrara di Bergamo e racconta molto di lei. La ferita per Elisa, nata con una sordità profonda bilaterale, è quella dell’intervento che le ha permesso di sentire grazie a un impianto cocleare. «Il primo - racconta - mi è stato applicato all’orecchio sinistro quando avevo due anni. Da quel momento grazie all’aiuto di logopediste bravissime ho potuto recuperare il ritardo nella percezione dei suoni e nella parola. Fin da allora è stata fondamentale la presenza di Alessandro, mio fratello gemello, che mi parlava continuamente aiutandomi così a velocizzare il processo di apprendimento della lingua».

I genitori si sono resi conto subito delle differenze tra i due figli: «Quando ci chiamavano Alessandro rispondeva e io no. Così si sono accorti precocemente dei miei problemi di udito». Elisa era troppo piccola per conservare memoria di quando il mondo per lei era solo silenzio: «Ho un ricordo molto netto, invece, dell’intervento necessario per posizionare il secondo impianto nell’orecchio destro, che è stato eseguito (come il primo) dal dottor Sandro Burdo a Varese quando avevo dodici anni».

Dal primo intervento - all’inizio degli anni Duemila - al secondo la tecnologia ha fatto passi da gigante: «Quando ero piccola - osserva Elisa - dovevo portare con me sulle spalle uno zainetto collegato all’impianto con dei fili. C’erano alcune parti che dovevano essere assicurate alla testa perché da bambini nel gioco e nel movimento c’è il rischio di farle cadere. In seguito, invece, l’apparecchio è diventato sottile e quasi invisibile».

Dopo il secondo intervento è iniziato un nuovo percorso di apprendimento e di adattamento: «All’inizio - spiega Elisa - non ero in grado di dare significato ai rumori che mi circondavano. Il cervello, infatti, deve compiere diverse operazioni per rielaborarli, non è un passaggio immediato. Per me, a dodici anni, sono serviti tempo e impegno, è stato difficile e faticoso. All’inizio, proprio per questo, ho avvertito quel nuovo impianto come qualcosa di fastidioso che evidenziava la mia diversità. Per questo auguro a tutti i bambini di poter avere entrambi i dispositivi necessari subito per non dover vivere la stessa esperienza».

Il percorso scolastico di Elisa è stato lineare: «Non ho vissuto questa disabilità come un problema. La docente indossava un microfono collegato direttamente all’impianto cocleare, perciò sentivo la sua voce molto bene. Non ricordo poi di aver mai avuto problemi a interagire e comunicare con i miei coetanei. I bambini non hanno freni, se non capiscono qualcosa pongono un sacco di domande. Questa curiosità non mi faceva sentire separata da loro, avevo invece la sensazione che volessero capire meglio e vedermi nella mia interezza, perché ero una bambina come loro. Da adulti non è così immediato, servono più spiegazioni, bisogna affrontare più pregiudizi».

Si è innamorata dell’arte seguendo le tracce del padre Adriano, pittore e docente all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia: «Ho un bellissimo rapporto con lui, che mi ha sempre sostenuto e incoraggiato a seguire i miei sogni».

Ha iniziato fin da piccola a disegnare e dipingere, e quando è arrivato il momento di scegliere l’indirizzo di studi superiori si è iscritta al liceo artistico: «Ho sempre avuto un grande amore per la pittura ma anche per tutto ciò che l’arte può costruire e suscitare nelle persone».

«Al liceo ci si sente insicuri»

Un giorno, al primo anno di liceo, le è stato assegnato il compito di realizzare un autoritratto: «Mi sono ispirata alla “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, reinterpretando l’opera a modo mio. Mi sono chiesta che cosa fosse prezioso per me come quell’orecchino, e ho scelto di mettere al suo posto proprio l’impianto cocleare: un dispositivo medico che mi è stato dato e mi ha offerto nuove possibilità, permettendomi di intraprendere il percorso artistico che sto tuttora seguendo. Al liceo spesso ci si misura con i compagni e ci si sente insicuri, perciò ho voluto in qualche modo rimarcare qualcosa che mi appartenesse e che potesse essere bello da mostrare». Così è nata la «Ragazza con l’impianto cocleare», un’opera che Elisa ha voluto subito condividere con il suo medico: «Sandro Burdo - racconta - ne ha volute stampare alcune copie, tutte firmate da me, con il contributo dell’associazione Liberi di Sentire onlus, di cui è responsabile scientifico, e le ha poi inviate nelle diverse sedi anche all’estero. È stata un’esperienza di condivisione bellissima e unica. In seguito mi sono arrivate alcune foto che mostravano il ritratto appeso in altri Paesi del mondo. Mi ha fatto molto piacere che potesse essere d’ispirazione e dimostrare che la diversità può essere vista come qualcosa di bello e come tale si può raccontare. Anche in classe questo lavoro aveva suscitato apprezzamento, ho ricevuto supporto dai miei compagni». La «Ragazza con impianto cocleare» sarà esposta dal 5 febbraio in una mostra collettiva nell’ex chiesa di San Bernardino da Siena a Luzzana, a cura di Michele Bertolini e del Comune.

Elisa non ha mai tentato di nascondere la sua condizione: «I miei amici hanno sempre saputo che portavo l’impianto cocleare: era sempre visibile, ancor di più se portavo i capelli acconciati in una treccia o una coda alta. Spesso qualcuno mi chiedeva informazioni. Ho sempre incontrato persone aperte e curiose, anche se è accaduto che mi rivolgessero domande indelicate. Mi è capitato a volte di dover affrontare dei pregiudizi, c’è stato chi guardava la disabilità e non vedeva nient’altro. Fortunatamente però non sono stata oggetto di offese e insulti, ma solo di curiosità, che a volte si manifestava con qualche occhiata di sfuggita, che comunque avvertivo. Penso che voler chiedere e imparare sia il passo più importante per accorciare le distanze e rendere più serene le relazioni, superando diffidenza e paura. Anche per questo nella mia produzione artistica ho cercato di affrontare il tema della sordità da diversi punti di vista».

Ha impegnato quindi il suo talento in un’opera creativa di sensibilizzazione verso i non udenti «mostrando visivamente al mondo qualcosa che non è così scontato o universalmente conosciuto, è una parte di realtà, che non tutti possono vivere, quindi può essere un elemento che arricchisce l’esperienza e offre un nuovo punto di vista».

Nel 2017 ha messo a punto il progetto della scultura sonora «Listen», poi presentato in una conferenza di fronte a medici e specialisti: «Non è stata poi realizzata ma l’ho considerata comunque un’opportunità importante. Ho immaginato di collocarla nel piazzale antistante l’ambulatorio di audiovestibologia dell’ospedale di Circolo di Varese dove sono stata operata. Era costituito da una serie di impianti cocleari aggrovigliati fra di loro fino a creare tre grandi fiori, simbolo del superamento della condizione di sordità. Dalla scultura doveva provenire della musica, per mettere in evidenza la possibilità di recuperare con gli impianti la capacità di sentire e di apprezzarne la bellezza. Volevo sottolineare l’idea che l’impianto non porta solo un’integrazione delle persone sorde nella società, ma un vero e proprio reinserimento sociale, permettendo di superare la discriminazione con la solidarietà».

«Il mio mondo interiore»

Sono seguite altre opere altrettanto suggestive come «Vibrazioni», nel 2019, in cui Elisa rende con un disegno a grafite «la sensazione che una persona sorda può percepire del rumore - ridotto a una vibrazione - togliendo l’impianto». E poi, nel 2021, il lavoro di tesi «Tràvma - nous»: «Questi temi mi toccano profondamente, sono piccoli frammenti di una realtà che sento mia. In quest’opera ho riprodotto l’epidermide della mia mano destra, quella che uso per disegnare e dipingere, che rappresenta tutto ciò che la gente può vedere e conoscere di me, mentre l’universo dentro la ferita è il mio mondo interiore. La ferita al centro dell’opera è quella operatoria che mi ha permesso di sentire e di riscoprire me stessa, quindi di rinascere proseguendo il mio percorso artistico».

Il silenzio, adesso, è un amico: «La condizione che normalmente viene definita così, per me è sempre rumorosa - chiarisce Elisa - . Il silenzio vero, una sorta di staticità del suono, arriva quando tolgo l’impianto per dormire, per lavarmi o solo perché ho bisogno di concentrarmi, allora sperimento l’assenza assoluta di rumore come un rifugio confortante. Sono silenzi diversi, ma entrambi belli. È il silenzio dell’altro, in una relazione, ciò che può mettere davvero a disagio».

Ora Elisa sta frequentando il primo anno della laurea specialistica in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Venezia: «Mi piacerebbe insegnare, come mio padre. La mia famiglia mi ha aiutato moltissimo nel mio cammino, mi ha sempre spronato a migliorarmi, a insistere negli esercizi per superare le difficoltà. Mi ha aiutato a non vedere mai la disabilità come un limite e un freno. È importante essere tenaci, continuare a lavorare su di sé, e spero di poter offrire questo messaggio anche ad altri bambini nella mia stessa condizione. La disabilità è solo una parte, abbiamo mille sfaccettature, bisogna imparare a vedere l’insieme, andare avanti, perseguire i propri obiettivi».

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