Legale in Missouri
«Sì, giustizia veloce»

Meno cause civili in tribunale e giustizia più veloce, un sogno? Per Vittorio Indovina, 36 anni, di Brusaporto, non è impossibile: basta alleggerire le aule «dirottando» i contenziosi verso esperti capaci di mediare le controversie legali utilizzando un approccio non improntato solo sul diritto.

È per questo che ha deciso di cogliere al volo l’offerta dell’University of Missouri School of Law negli Stati Uniti di frequentare uno dei master più prestigiosi in risoluzione alternativa delle controversie (Alternative dispute resolution o Adr), un mondo parallelo al diritto che in Usa si è ben sviluppato nel corso degli ultimi 30 anni.

Quale è stato il suo percorso di specializzazione in questo campo? «Con una laurea in Legge in Bicocca e un master a Bergamo in Diritto d’impresa, mi sono occupato di diritto civile, collaborando per sei anni con uno studio legale della città. Ho sempre voluto specializzarmi: la folgorazione l’ho avuta durante un seminario nel 2007 sulla mediazione in Camera di Commercio. Ottenuto il certificato di mediatore professionista, ho cominciato a lavorare per l’organismo di mediazione dell’ente, dove ho maturato una discreta esperienza. Ho inoltre partecipato a importanti corsi in Italia e all’estero, allacciando contatti con diversi professionisti del settore e ricoprendo il ruolo di giudice e mediatore in competizioni nazionali e internazionali».

Perché ha deciso di andare negli Usa?

«È stato un caso. Negli ultimi due anni la mia vita lavorativa non è stata un granché: da un lato per la difficoltà nel superare l’esame di avvocato, dall’altra per la difficile situazione del mercato del lavoro. Senza contare le decine di curricula mandati un po’ ovunque senza successo. Le prospettive erano molto povere. Poi un giorno ho scritto un’email a John Lande, stimato professore e ricercatore nel campo della negoziazione e mediazione legale. Ne è nato uno scambio di informazioni professionali. Inaspettatamente, mi ha invitato a seguire il corso post laurea in Dispute resolution dell’Università del Missouri, paventandomi la possibilità di chiedere una borsa di studio. Ho superato il test di lingua e il mio curriculum era adeguato agli standard richiesti. E ora eccomi qui».

Com’è strutturato il master?

«Ho giornate intense, è molto impegnativo: i docenti sono esigenti, la didattica è di altissima qualità. Si scrivono ricerche, le lezioni sono interattive e serve prepararsi prima sull’argomento che verrà trattato. Durante il corso, assisterò a mediazioni civili ordinate dai tribunali federali e non solo: alcune riguarderanno casi di uso eccessivo della forza da parte della polizia. Non è un corso per neolaureati, ma per professionisti del settore legale. In classe siamo una decina. Ci sono giudici di contea, avvocati, procuratori. Alcuni vengono dall’estero. Mi hanno accolto molto bene, sono il primo italiano approdato a questa scuola di legge».

Com’è il mondo della mediazione statunitense?

«Si sta evolvendo in diversi settori del diritto. Esistono importanti centri di mediazione, anche privati. Già dagli anni ‘70 è nato un movimento tra giuristi che ha cercato strumenti alternativi per affrontare un conflitto. Dopo una fase di sperimentazione, si è sviluppata una significativa legislazione federale e statale. È andata così a formarsi una classe di professionisti molto preparati in questo campo. E poi si fa ricerca a livello accademico».

L’Italia ha un altro sistema giuridico, ma da qualche anno se ne parla anche da noi...

«È vero. Nel 2010 l’Italia ha introdotto la più importante legge europea sulla mediazione, che in alcune materie di diritto civile ne impone l’obbligatorietà. Ma non si può ancora parlare di uno strumento ben radicato. La vera sfida è a livello culturale e di formazione. Per la mia discreta esperienza nel settore, posso dire che siamo ancora lontani dagli standard qualitativi auspicabili per questo strumento. Non è solo una questione di preparazione del mediatore; anche l’avvocato, nel rappresentare un cliente in una mediazione, necessita di competenze specifiche a molti sconosciute. Per risolvere i problemi del cliente, il giurista italiano sembra chiuso unicamente nella gabbia del diritto».

Come dare maggiore impulso a questi strumenti alternativi?

«Non credo esistano ricette precise. Vedo un futuro interessante in programmi di mediazione concertati localmente con giudici, avvocati e mediatori nei singoli tribunali. Guardando fuori dalle aule, invece, pensiamo a una assicurazione che ha sistematicamente a che fare con i conflitti; implementando politiche di gestione del contenzioso attraverso il ricorso sistematico agli strumenti alternativi (Adr), non solo avrebbe i già citati benefici diretti, ma ne gioverebbe l’intera società: meno cause in tribunale e una giustizia più efficiente. Si potrebbero così coniugare interessi privati e pubblici».

Quali sono invece, le prime impressioni sulla città e sullo stile di vita in Missouri?

«Sono partito da poco, ho ancora molto da scoprire. Per ora mi trovo bene. La città è davvero piccola, tranquilla e molto verde; mi muovo in bici. Tutto ruota intorno all’università e ai suoi numerosi studenti, che provengono da ogni parte del mondo. È evidente l’orgoglio per il locale polo didattico: i gadgets li trovi ovunque e la squadra di football ha uno stadio tutto suo e un tifo appassionato, così come quella di basket. Il campus è bellissimo, le persone sono disponibili e ci sono tante strutture moderne, servizi e tecnologia. Vivo a tre chilometri dall’università, condividendo l’appartamento con un ricercatore ghanese e uno studente afroamericano. Il costo della vita qui non è poi molto diverso da quello dell’Italia, mentre il cibo... lasciamo perdere. Preferisco di gran lunga cucinarmi qualcosa a casa e bere caffè dalla mia moka».

Capitolo espatriati con laurea: per incentivarne il ritorno in Italia, per 5 anni il governo ha decretato una riduzione del loro reddito imponibile pari al 30%. Le sembra una proposta efficace?

«Non è una questione di agevolazioni fiscali. È un problema di sistema: mancano prospettive e stimoli professionali. A un giovane che dimostra capacità bisogna dare i riconoscimenti che merita, affidargli nuove responsabilità e dargli uno stipendio adeguato. È una risorsa da far crescere, non da sfruttare. Dopo questo master sono aperto a qualsiasi opportunità lavorativa. Non so se sarà possibile trovarla in Italia, ma chissà... Certo, anche se sono partito da poco, mi mancano già molto gli amici e la famiglia. Ma so che qui il mio futuro si sta veramente costruendo».

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