Homini lupus

Dovremo farcene una ragione: le notizie, in questa era fatta di specchi, schermi e lustrini, tocca leggerle due volte. La prima per indignarci e salire al volo sulla grande giostra del commento. La seconda per scoprire, e possibilmente registrare, che era tutto falso.

Non sarebbe un male, in fondo, se le bufale che ci passano sotto gli occhi conoscessero sempre una sia pure tardiva revisione. Purtroppo non è così, esse si comportano invece come fotoni sparati contro una lastra di vetro: la maggior parte passa, altri - pochi - tornano indietro.

Uno di questi fotoni respinto al mittente riguarda la famosa fotografia del branco di lupi in fila nelle nevi del Canada. Grazie a una fantasiosa traduzione, una didascalia comparsa sul sito della Bbc ha finito per descrivere la carovana come allestita secondo una rigorosa, e nobilissima, organizzazione: in testa gli esemplari malati, in coda il capobranco, in mezzo i maschi a protezione delle femmine e, a lato, i lupi con la paletta per far passare i lupetti sulle strisce.

Tutte fantasie, a quanto pare, ma la foto ha goduto del sempre più frequente effetto “virale” che si manifesta in Rete. Un successo dovuto all’automatica antropoformizzazione che facciamo degli animali, ovvero all’abitudine di attribuire loro comportamenti, abitudini e sentimenti umani. A dire il vero, qui siamo al di là del semplice trasferimento: addirittura, consegniamo agli animali la responsabilità di essere migliori di noi. Più solidali, più disciplinati, più cavalieri, più rispettosi.

Sarà forse da questo che deriva certo animalismo per così dire estremista (e lo dice uno che considera gli esseri a quattro zampe un’evoluzione rispetto a quelli a due): dalla delusione per la nostra specie. Andiamo a cercare negli animali quella nobiltà che, ogni giorno, vediamo mancare nei nostri simili. Un fardello decisamente troppo pesante per loro, che se non meritano di vedersi attribuire i nostri successi, di certo non sono al mondo per riscattare i nostri fallimenti.

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