Qualcosa di vero

Sono stato tra i telespettatori fedeli ed entusiasti, mesi fa, della prima serie tv «Fargo» e, più recentemente, anche della seconda, cosa a suo modo sorprendente perché, si sa, dai tempi della Grande Eccezione («Il Padrino parte II»), tutto ciò che «continua» subisce inevitabilmente un deterioramento.

Non è più così: almeno non in televisione. Grandi investimenti e idee azzeccate hanno, in molti casi, contraddetto la legge universale e «Fargo», unitamente a «True Detective», rappresenta un esempio felice ma non isolato.

Il merito di tanta eccellenza, però, va fatto risalire a un’idea buona che, essendo appunto buona, è stato possibile sfruttarla a vent’anni di distanza. Tanti ne sono passati, infatti, dall’uscita nelle sale del «Fargo» film, capolavoro firmato dai fratelli Coen.

Due Oscar, per la sceneggiatura e alla miglior attrice protagonista, Frances McDormand, ma soprattutto una serie di sequenze memorabili e un’ambientazione -il tavoliere innevato del Minnesota - praticamente inedita. Scenario eccezionale al punto da figliare, tanti anni dopo, scene esaltanti anche nella serie tv; la prima stagione, oltre a personaggi formidabili e a un intreccio ricchissimo, contiene almeno una trovata visivamente superba: la sparatoria nella tormenta di neve (Episodio 6: «L’asino di Buridano»).

Il tutto è dovuto, insisto, al potente riverberare dell’idea originale che oggi, a vent’anni di distanza, insegna qualcosa sul cinema ben fatto e svergogna quello attuale, troppo spesso prevedibile e ostaggio degli effetti speciali.

Un film, «Fargo» , contraddistinto dalla paciosa investigazione di una poliziotta incinta sulle scivolose strade del Minnesota e da una geniale menzogna a inizio film: «Questa è una storia vera». Mentivano, i Coen, sulla storicità della loro vicenda ma, in quel modo, facevano a tutti noi un gran regalo, costringendoci finalmente a guardare l’arte come fosse - e lo è - qualcosa di vero.

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