Diga del Gleno: una vergognosa sentenza

Il 4 luglio 1927 i giudici del Tribunale di Bergamo condannarono i Viganò e un altro imputato, l’ingegner Giovambattista Santangelo, a tre anni e quattro mesi di reclusione, alla multa di 7.500 lire, nonché al pagamento delle spese di processo e dei danni verso le parti lese.

Ai due imputati (e soltanto a loro), furono attribuite le responsabilità del disastro «avendo proceduto nella costruzione della diga - come si legge nella sentenza - con negligenza e imperizia, usato materiali inadatti o male manipolati per ragioni di economia, praticato variazioni al progetto senza ottenere le previe autorizzazioni, messo in esercizio le opere di invaso senza aver prima ottenuto il collaudo del lavoro».

Per completare l’opera, non solo non furono risarcite le parti lese, ma in appello tutti gli imputati furono assolti. Insomma, sul disastro della diga del Gleno giudici e autorità preferirono stendere un velo: sulle responsabilità, sui morti e sulla giustizia.

Le reazioni

Tutta l’Italia, si legge sui giornali dell’epoca, era sgomenta e commossa. Sulle prime non mancò la solidarietà. Ma poi tutti si dimenticarono presto dei morti, e soprattutto dei vivi.

Commentava con amarezza monsignor Andrea Spada, allora direttore de L’Eco di Bergamo: «Promesse, commozione d’un momento, solidarietà d’un mattino; poi tanta dimenticanza, la valle fu lasciata alla sua tragedia. E da sola la poverissima valle ha dovuto ricucire la sua spaventosa ferita, spegnere le sue lacrime, riprendere da sola a portare il fardello della sua solitudine».

(01/12/2003)

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