Rodolfo Saltarin, vicepostulatore
«Si rivelò una grande anima»

Ditemi voi se non è sorprendente sapere che un giovane pastore di pecore divenne, nel Seicento, uno scrittore spirituale accanto a scrittori di prestigio. Parlo di Tommaso Acerbis da Olera (1563 1631), uno che a diciassette anni entrò tra i frati Cappuccini di Venezia e ben presto si rivelò "una grande anima".

Ditemi voi se non è sorprendente sapere che un giovane pastore di pecore divenne, nel Seicento, uno scrittore spirituale accanto a scrittori di prestigio. Parlo di Tommaso Acerbis da Olera (1563 1631), uno che a diciassette anni entrò tra i frati Cappuccini di Venezia e ben presto si rivelò "una grande anima".

Gli scrittori accanto ai quali la storia cappuccina affianca fra Tommaso (unico non chierico, con i limiti di chi mai lesse un libro né mal frequentò scuole) sono: p. Giovanni Pili da Fano, p. Bernardino Ochino da Siena, p. Bernardino Ferraris da Balvano, p. Mattia Bellintani da Salò e p. Lorenzo Russo da Brindisi. È vero, non è un caso isolato. A lui contemporanea e come lui analfabeta, la storia religiosa ricorda Anna Garcia (1549-1626), segretaria di s. Teresa d'Avila: una contadina che, entrata nel monastero come suora di fatica, imparò a leggere e a scrivere, e in seguito divenne fondatrice del Carmelo di Francia.

Scrittore per obbedienza Al suo paese, arrampicato lungo la valle Seriana (Bergamo), Tommaso si preoccupò di aiutare i genitori che a stento riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena; invece a Verona, luogo dell'anno di prova, si preoccupò di conoscere e amare il Cristo crocifisso con tutto il suo cuore e con tutte le sue forze.

In seguito, nonostante il suo ufficio fosse umile (frate questuante e di fatica), cominciò a svolgere un apostolato intenso tra la gente del Veneto, del Trentino e del Tirolo, così da diventare “un sacerdote senza stola” e - a Vicenza, a Rovereto e ad Hall - un promotore di vocazioni alla vita consacrata. Nei territori di lingua tedesca e a stretto contatto con i signori della Casa d'Austria - entrava ed usciva dai palazzi imperiali così come entrava ed usciva dal suo convento di Innsbruck - si rivelò ben presto un catechista convincente (fra la gente) e un padre dello spirito e un consigliere unico (fra i principi).

Impegnato in diverse attività, Tommaso trovò il tempo (rubato al sonno) per esporre a molti il suo ricco mondo interiore. Lo fece attraverso lettere, meditazioni, trattati spirituali e candide disquisizioni apologetiche. Sempre e solo perché sollecitato dai più e in stretta obbedienza ai suoi superiori maggiori.

La quasi totalità dei suoi scritti si trova nel testo secentesco "Fuoco d'amore / mandato da Christo in terra, / per esser acceso: / overo / amorose compositioni / di / fra Tommaso da Bergamo, / laico capucino ...", Agosta 1682. Furono riordinati in questo volume dal provinciale del Tirolo, il trentino p. Giovenale Ruffini. In esso vi sono due capitoli che parlano espressamente della passione di Cristo e sette del suo Cuore. Questi ultimi, che qui c'interessano direttamente, si trovano alle pagine 192-204 dell'originale (Agosta 1682) e alle pagine 221-233 dell'edizione recente (Padova 1986). In sigla: FdA 192-204/221-233. Mistico del "cuore aperto"

Nell'intensa vita spirituale di Tommaso, una delle devozioni dominanti - comune ai Cappuccini del suo tempo (e non solo) - fu quella riferita a Cristo Crocifisso. L'antica legislazione la raccomandava a più riprese e con indicazioni puntuali (vedi le prime Costituzioni Cappuccine del 1536 – in sigla: CC 1536).

Un esempio. "Si impone etiam alli predicatori che non predichino frasche, né novelle, poesie, istorie o altre varie, superflue, curiose, inutili, imo perniciose scienze, ma, a esempio di Paulo apostolo, predichino Cristo crucifisso, nel quale sono tutti li tesori de la sapienza e scienza di Dio" (CC 1536, cap. IX). Un altro esempio. "E perché al nudo e umil Crucifisso non sono conveniente terse … e fucate parole, ma nude, pure, semplici, umili, nondimeno divine, infocate e piene di amore, a esempio di Paulo ... , il quale predicava non in subilimità di sermone ... , ma in virtù di Spirito» (CC 1536, cap. IX).

Un altro esempio ancora, e più caratteristico: «Però si esorta li predicatori a imprimersi Cristo benedetto nel core e darli di sé possessione pacifica, acciò per redunanzia di amore lui sia quello che parli in loro, non solo con le parole, ma molto più con le opere, a esempio di Paulo, dottore delle genti" (CC 1536, cap. IX). In Tommaso, però - durante gli anni della sua maturità spirituale - la devozione al Crocifisso ha uno sbocco particolare. Segue le orme della grande tradizione francescana e s'immerge in zone non del tutto esplorate: portando così a maturazione un frutto singolare e soprattutto esprimendolo con piglio personale. Scrive cose riguardanti il cuore di Gesù: non già come simbolo dell'amore (da sempre conosciuto) e meno ancora come organo da auscultare, cateterizzare e trapiantare (oggetto di scienza), ma come membro di un corpo tormentato oltre ogni dire (il cuore di Gesù durante la sua dolorosa vita terrena). Si rivolge al cuore aperto di Cristo come parte per il tutto, come "membro posto in mezzo al corpo" del Salvatore, parla con il cuore di Gesù di Nazareth perché lì (pensa) "sedeva quella beata anima". Il suo è il concitato colloquio di una persona innamorata, che si esprime senza badare alle continue ripetizioni.

Il primo capitolo (cfr FdA 192-4/221-3) si apre con un'invocazione precisa: "0 sacrato Cuore del mio amabilissimo Signore! io. rivolgomi a voi, e con esso voi ragionerà l'anima mia, essendo voi, o caro Cuore, il mio ricordo, il mio consolatore". Seguono le considerazioni "a cascata", prodotte sull'onda dei ricordi. E' curioso di conoscere almeno un po' della tormentata vita di quel "affannato Cuore" di Gesù che, di volta in volta, definisce "sacrato", "caro", "beato", "divinissimo", "dolcissimo", "celeste", "santo" e che considera come "bersaglio" privilegiato dell'umanità di Cristo: bersaglio del suo corpo e della sua anima. Invita quindi l'anima a contemplare (cioè: a vedere in spirito) Gesù, "composto d'amore e di carità", mentre cammina lungo le strade della Palestina stanco, afflitto, affamato, assetato; mentre vive i giorni della passione umiliato dai flagelli, dalle spine, dal chiodi, dalle percosse, dai vilipendi, dal portar la croce. Conclude con un'immagine fluviale di grande impatto, passando dall'umanità di Cristo (patimenti visibili) all'addolorato Cuore" (patimenti invisibili): "e sì come li fiumi e torrenti corrono al mare, essendo esso mare il fine, così tutti li dolori del Signore furono come tanti torrenti che scorrevano al Cuore".

Nel capitolo seguente (cfr FdA 195/224) invita l'anima devota ad entrare in quel "Cuore dolce e caro", che fu martire per trentatré anni: tanti quanti furono gli anni della vita terrena di Gesù. Assicura che "il nostro Dio cominciò (il) suo martirio nel ventre di Maria, perché ebbe il compìto uso della ragione". Aggiunge inoltre che, «come Dio, vedeva tutte le cose e tutti i dolori …: se mirava il popolo ebreo …, vedeva che li doveva dar morte atroce; se mirava gl'apostoli, vedeva Giuda che lo doveva vendere e tradire, vedeva Pietro che lo doveva negare e tutti gli altri che lo dovevano abbandonare”.

Altre visioni ancora: "Se si rivolgeva alla gentilità, vedeva che dovevano star nella sua durezza e perseguitar il suo santo nome, con dar morte a tanti martiri e vergini; se rimirava alla cristianità, vedeva che tanto pochi dovevano salvarsi, dicendo lui stesso che molti seriano li chiamati, ma pochi eletti". Che cos'è l'estasi? Nel terzo capitolo (cfr FdA 196-9/225-8) l'invito si fa personale ed intimo: "penetrare quel sacrato Petto; vedere come sene stava quel Cuore".

Che così la rassicura: "E non temere, anima, perché son ferito, impiagato per tuo amore e il mio cuore è trafitto. Non vedi che lo agonizo, sudando sangue e acqua?". Amorosamente insiste: "Ritorna al tuo celeste Padre; e se sei aggravata, affaticata, viene a me che io ti reficierò: dandoti da bere di quell'acqua, che io diedi alla Samaritana; il mio Cuore ti servirà per fiasco, essendo io ripieno di prezioso vino, il quale per tuo amore se ne sta nella càneva fresca del mio petto". L'anima ne dà testimonianza, esultando: "O beata, o felice càneva, o dolce vino, o beveraggio prezioso! Beati, felici e ben aventurati quelli che beveranno di questo celeste fiasco, riposto in quella celeste e divina càneva, della quale diceva il nostro Dio ...: Chi ha sete venga a me che lo reficierò".

Di qui l'estasi: "Che cosa è l'estasi, se non una morte di stupore, di ammirazione? vedendo in Dio tanta carità, tanto amore verso la creatura tanto ingrata e sconoscente; e chi potrà mai capir l'amor di Dio? Forsi li più elevati intelietti? Forsi li più perfetti? ... Lui solo può capire questo eccesso di carità". Conclude: "Come non si può contar le stelle del cielo, l'arena del mare, le piante e erbe della terra, così non si può raccontar né meno capire con mente umana né con santità di vita né tutti gli angeli del cielo, l'amore con il quale Dio amò l'uomo, creato dalle sue proprie mani, redento con il suo prezioso sangue".

Con il quarto capitolo (cfr FdA 199-200/229-30) ritorna l'invito: "Anima contemplativa, torniamo al Cuore di N.S. che, essendo spirata quella beata anima dal quel beato corpo, era rimasto questo s. Cuore, il quale ancora palpitava entro a quel beato petto; era rimasta la s. humanità di Cristo, pallida, smorta". "E se tu, o peccatore, dato in reprobo senso, non ti vuoi convertire per il sangue sparso dalle vene del tuo amato Cristo, almeno convertiti per quel sangue e acqua che sparse dal suo prezioso Cuore; rimira quel Cuore aperto, nasconditi in esso, fa in esso tua stanza;... capirà ancora te, anima crudele".

Gli ultimi tre capitoli (cfr FdA 201-4/230-3) legano insieme alcuni temi della passione di Gesù: la lancia, Maria addolorata e il "Cuore spalancato". La lancia. "O lancia empia, atroce! così sei battezzata dai devoti ..., perché, dopo la morte del mio Signore, avesti tanto ardire di spalancar il petto di tuo Creatore". "Come arrivasti a quel s. Petto e ti non inteneristi? E se pur volesti aprirlo, perché trafigger il Cuore? quel Cuore che non erano degni di rimirarlo gli angeli ...; e non ti creò forsi questo Dio e tu traffiggi il tuo Creatore? e se tutte le altre cose insensibili mostrarono pietà, tu sola, o lancia, fusti tanto crudele".

Maria, l'addolorata madre. "Fu deposto il s. corpo del Signore dalla Croce e fu dato in grembo della sua diletta Madre" ... "0! chi fusse stato presente a veder quello che passava tra la Madre e il Figlio! Si poneva la s. Vergine con la faccia sopra la faccia del caro Figlio; baciava quelli beati membri". "0 quante lacrime Maria dovette spargere sopra desso Cuore. 0! come lo mirava, baciava, si lamentava e doleva? E tua, anima mia, vattene a quel Cuore spalancato e contempla il tuo Redentore; penetra con gl'occhi della mente tua e vedi quel Cuore che per tuo amore tanto tolerò e sopportò". Il Cuore trafitto. "E tu anima va ancora tu in spirito e trova il tuo Dio nelle braccia della Madre; adoralo, contemplalo, miralo. Contempla che per tuo amore fu così mal trattato; ma in particolar vattene al Cuor traffitto, spalancato; (...sicuramente incontrerai) la tua beata Madre sarà sopra esso Cuore". "0! chi avesse veduto … uscire quel beato sangue ed acqua, come duoi fiumi; ... uno ..., che era il sangue, ove poteva e può andare ogni peccatore, sperando la certa misericordia, e l'altro fiume dell'acqua, alla quale sicuramente poteva e può andar ogni fedele amico di Dio, sperandone aumento di virtù".

Un invito a pentirsi: "Tu sopra d'esso fa un longo lamento; piangi, lava quella ferita con lacrime; fa che penetrino le tue lacrime entro a quel Cuore e metti le tua labra a quell'apertura, e grida con cordial affetto a quel Cuore, acciò abbia pietà di tanti tuoi peccati; prometti d'emendarti, di darli il tuo cuore".

In occasione della mostra dedicata alla collezione dei Giustiniani (Vincenzo e Benedetto, cardinale), all'inizio di quest'anno è arrivata a Roma una tela di un geniale bergamasco: L'incredulità di Tommaso del Caravaggio. Le teste dei personaggi sono disposte a rombo perfetto e riproducono un'invisibile croce. Gli occhi di tutti sono rivolti in un'unica direzione: il petto squarciato del Maestro; verso il quale lo stesso Gesù orienta e sospinge l'indice robusto dell'incredulo Tommaso. È sottolineato il momento della meraviglia: il sentimento che fa traghettare i tre apostoli dall'incredulità dichiarata alla fede convinta. La luce, che irrompe da sinistra a destra, quasi a riprodurre il colpo di lancia di un soldato (cfr Gv 19, 34), evidenzia una larga e profonda ferita. Che, al penetrare del dito, non oppone resistenza (anche se, vista l'espressione del Maestro, lo fa soffrire), ma racconta un fatto davvero accaduto: toccare per credere! Il pittore Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571-1610) e il mistico Tommaso Acerbis, detto “il fratello del Tirolo” cosa hanno in comune? Diversi elementi: sono entrambi figli della terra bergamasca, vissuti a cavallo del Cinque-Seicento, amanti degli umili, frequentatori d'uomini di Chiesa e di governo... Ma un fatto li accomuna ancor di più, uno nell'arte del dipingere e l'altro nell'arte dello scrivere: ed è la naturalezza nell'esprimere il sentimento della meraviglia, che tanta parte ebbe nel Seicento letterario ma che, a differenza di quello, nei due è un raccontare per edificare: attraverso l'olio su tela e l'inchiostro su carta.

Rodolfo Saltarin, vicepostulatore

da L'Osservatore romano, domenica 22 aprile 2001

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