Yara, tappa al bar degli autisti:
impossibile ricordare dopo 40 anni

«Basta, davvero basta. Ormai non crediamo più a nulla, ci rendiamo conto di quanto tempo è passato? E con quali risultati? Qui in alta valle non ne possiamo più». Teresa Cossali è la titolare del «Bar Stazione» di Ponte Nossa.

Non è la madre dell’assassino di Yara. Non c’entra nulla con il delitto della tredicenne di Brembate Sopra, la donna di 46 anni che i carabinieri del Ros di Brescia stavano cercando in questi giorni.

Gli inquirenti sono risaliti a lei, ma non hanno nemmeno avuto bisogno di sottoporla al test del dna. Giovedì, confrontando l’ultima segnalazione con gli accertamenti compiuti in passato, gli investigatori hanno capito che la quarantaseienne era già entrata nella rosa delle presunte mamme dell’omicida. Per uscirne subito dopo che il raffronto tra il suo profilo genetico e quello estrapolato dalla macchia di sangue trovata sugli indumenti della vittima aveva dato esito negativo.

La signora era stata controllata lo scorso anno, insieme ad altre due donne che in età adolescenziale avrebbero avuto relazioni con alcuni conducenti dei bus di linea della Sab. Tra questi ultimi non figura Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 a 61 anni, che il dna vuole come il padre di «Ignoto 1», ossia l’assassino.

«Basta, davvero basta. Ormai non crediamo più a nulla, ci rendiamo conto di quanto tempo è passato? E con quali risultati? Qui in alta valle non ne possiamo più». Teresa Cossali chiacchiera con un cliente a un tavolino del suo locale, il «Bar stazione» di Ponte Nossa. Il nome ne rivela il porto di mare che è: crocevia di passeggeri e autisti dei pullman, luogo di lunghe soste tra una corsa e l’altra, ma anche di un caffè preso al volo per i turisti che si fermano alla vicina sede di Promoserio per programmare da qui la propria vacanza in valle.

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Terry del caso Guerinoni sa praticamente tutto. Tutto da quando, a quindici anni dalla morte dell’autista, un esame di laboratorio ne ha segnato la pesante eredità: un figlio assassino. Ha raccolto l’amarezza degli ex colleghi dell’autista di Gorno, è stata chiamata più volte dagli inquirenti, «interrogata sia dai carabinieri sia dalla questura, a più riprese. Lei non può non ricordare, mi dicevano. Ma ricordare cosa, dopo quarant’anni, poi? Qui al bar arrivavano e arrivano decine di persone alla volta, e poi io il Giuseppe Guerinoni me lo ricordo solo perché si faceva voler bene da tutti, sempre allegro com’era».

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