Crisi: persi per chiusura
2.400 posti metalmeccanici

«È possibile riuscire a costruire le condizioni perché sul territorio nascano nuove aziende che diano lavoro a 2.400 persone?». Un numero che corrisponde ai lavoratori che negli ultimi quattro anni hanno perso il posto per la chiusura di 34 aziende metalmeccaniche.

«È possibile riuscire a costruire le condizioni perché sul territorio nascano nuove aziende che diano lavoro a 2.400 persone?». Un numero non casuale, che corrisponde ai lavoratori che negli ultimi quattro anni hanno perso il posto a causa della chiusura di 34 aziende metalmeccaniche con sede nella nostra provincia.

È Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl di Bergamo, a tracciare il bilancio di quanto avvenuto in questi ultimi anni, spiegando che «13 aziende hanno cessato l'attività trasferendola altrove: è il caso ad esempio di Indesit, Donora (gruppo Candy), Jabil e Andrew Corporation. Mentre in una quindicina di aziende è cessata l'attività a seguito di una procedura di concordato preventivo o di fallimento».

Quando si analizzano queste situazioni «emerge in maniera drammatica la perdita di posti di lavoro in realtà produttive che sono completamente sparite dal territorio», afferma Uliano. A queste si aggiungono le imprese che negli ultimi anni hanno avviato un percorso di ristrutturazione con una contestuale riduzione dell'organico occupato, oltre a quelle in cui si è verificata la cessione di un ramo d'azienda o il passaggio dell'attività a un nuovo soggetto industriale (è il caso rispettivamente della Frattini e della Toora), che «hanno riassorbito solo una parte del personale occupato con un costo sociale elevatissimo».

Tirando le somme, ciò che invocano i sindacati è un maggiore impegno sul fronte delle politiche attive del lavoro: «Fatta eccezione per Indesit e Meccanica Valbona, infatti, dove si sono messe in campo politiche di reindustrializzazione e di ricollocamento, nella maggior parte dei casi di fronte alla chiusura di un'azienda i lavoratori sono abbandonati a se stessi alla ricerca di una nuova occupazione, perché ci scontriamo con realtà che chiudono e non mettono a disposizione una "dote" che li sostenga».

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