Dalla Catalogna all’Austria
I tormenti dell’Europa

I problemi delle nazionalità storiche non si risolvono con la polizia, mentre la deriva illiberale si contrasta con la politica e con il diritto: sono le lezioni che vengono da Catalogna e Polonia, vicende unite solo da una coincidenza di tempi. Se poi nel mazzo mettiamo Brexit, il nuovo governo austriaco che ha imbarcato l’estrema destra (il primo in Europa della nuova serie), si deve concludere che si è nel bel mezzo di un ciclo rischioso. Lo status quo è sotto attacco, la liberaldemocrazia in affanno, lo Stato nazionale alterna fasi di retroguardia a fiammate di riscatto.

Il timore dell’ignoto non funziona come freno e s’insegue l’avventura di rompere gli schemi: l’impensabile, il mai visto sono fra noi. Tutto sta succedendo «per la prima volta», mentre l’Europa risente di queste violente scosse, di una serie di rivendicazioni legate alle giunture critiche realizzate dalla Storia. La Catalogna, commissariata da Madrid, vive una condizione surreale che il voto di giovedì ha replicato, anche nella presenza solo virtuale dei due leader: uno in carcere e l’altro fuggito in Belgio. Hanno vinto gli indipendentisti, ma con un mandato che ha spaccato in due la regione e con una prospettiva che evidentemente non potrà essere la secessione. Le due parti dovranno rivedere le loro politiche. La repressione del governo di Madrid non ha pagato, rivelandosi un boomerang. Lo strappo di Barcellona ha diviso il fronte indipendentista, spaventando i settori più responsabili e tuttora sensibili all’autonomismo.

Lo sconfitto è il premier Rajoy, che aveva e ha dalla sua la Costituzione, tuttavia l’interpretazione legalistica e non politica non gli ha giovato: le norme vivono pur sempre di consenso e hanno un’esistenza materiale sul territorio, specie se il contrasto è depositato nell’identità culturale di generazioni. Ma, a loro volta, i secessionisti, benché con maggiori margini di manovra, non possono ritenersi i padroni esclusivi del campo, tanto più che i liberali unionisti di Ciudadanos sono il primo partito. Non sarà facile ricostruire un tessuto comune, perché il conflitto è entrato nella carne viva del vissuto reale di una comunità, azzerando amicizie e rompendo sodalizi. Non resta che ripristinare gli strumenti della politica e una saggezza fin qui assente, recuperando il tempo perduto alla ricerca di un equilibrio fra legalità e consenso.

Quella legalità che, su un fronte diverso, la Polonia ha leso con le recenti riforme della magistratura che mettono in pericolo la separazione dei poteri, cardine del costituzionalismo liberale. Per questo motivo il governo di Varsavia è stato sanzionato dalla Commissione europea: una decisione senza precedenti. La frattura giunge dopo un lungo confronto politico che vede i nazionalpopulisti polacchi allineati all’Ungheria di Orban, teorico della «democrazia illiberale». Una svolta di questi anni, come s’è visto con il rifiuto del ricollocamento dei profughi, nel Paese che fu di Solidarnosc e che ha rappresentato negli anni scorsi un modello d’integrazione in Europa. Polonia e Ungheria rischiano di scivolare verso la fascinazione del nazionalismo, un modello regressivo che sta contagiando anche l’Austria con il primo passo falso pur rientrato: la vecchia idea, cioè, di riconoscere agli altoatesini di lingua tedesca il passaporto austriaco, sdoganando così la cittadinanza su base etnica e intervenendo su una materia incendiaria e regolata da un trattato internazionale. L’Europa anche in questo fine 2017 è percorsa dai tormenti: fragilità politica (Italia e pure Germania), fughe al buio, società radicalizzate.

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