Tutti a scuola
Passione e niente paura

Non pensavo fosse così difficile fare il genitore. Un attimo prima è tutto una tutina e un biberon, uno spingere altalene, cambiare pannolini e imparare a memoria il dosaggio della Tachipirina. Pochi anni dopo ti volti e osservi lo sguardo del tuo bambino, senza un dente, nuovi centimetri conquistati e lineamenti da ragazzetto.

Restano i dinosauri preistorici e i combattimenti spaziali alla Star Wars, ma la scuola inizia e io fatico a riconoscerlo. Sto lì, imbambolata, ad ascoltarlo mentre balbetta la tabellina del 7 (difficilissima) e non mi capacito: «Sono grande mamma» dice lui con nonchalance. E non ci credi. Che già ti chiede come si affrontano le paure, ti racconta di come è facile lasciarsi prendere la mano dalle piccole cattiverie del gruppo.

Otto anni, una cartella nuova (il made in China dura massimo un biennio) e quella appassionata vitalità di chi il mondo lo vuole conquistare tutto. E tu hai paura: perché non si contengono più i sogni dentro un parco giochi. A otto anni le leggi le notizie sul giornale, ti soffermi alla tv a guardare quei barconi zeppi di sofferenza, con delle domande che scaturiscono da una testolina scompigliata e curiosa, esente da pregiudizi, alla ricerca di pensieri coraggiosi.

A scuola ci si deve andare così: con un sacco di domande. A 8, a 10, a 15 anni, sempre. Anche quando la scuola finisce e sei solo, o troppo, un genitore che si rende conto di quanto sia difficile rispondere in questo mondo fatto di velocità e tecnologia. «La cartella nuova ha lo spazio per il cellulare e l’iPad» mi dice orgoglioso. Io penso a quando di nascosto ho portato il walkman in classe: mi sentivo una star. Ora su YouTube si cercano i video per la ricerca di scienze. Meglio così, meglio scoprire questo mondo infinito: così ci s’impara anche a difendere.

La scuola in tutto questo ha un ruolo impegnativo, ma non è sola: deve insegnare come trovare le risposte, piuttosto che dare le risposte. Quelle le lasciamo scoprire a loro: servono guide non tuttologi, servono persone innamorate della vita, appassionati ricercatori, viaggiatori del mondo.

La nonna spera che il piccolo diventi un medico, il sogno di famiglia mai avverato. Me la sono presa, mi ricordavo quelle frasi sul lavoro sicuro, ora così anacronistiche in un mondo di precari e stagisti. Poi ho pensato che a essere genitori si finisce sempre per essere ambiziosi: si punta ai 10 in pagella da mostrare alle mamme; esibendo il figliolo che suona lo strumento mentre a calcio è il capocannoniere. L’ambizione è genitoriale, ma il futuro? Quello vero? Chissà. Ci pensiamo mentre trasciniamo in classe questi bambini ancora assonnati e con la striscia di dentifricio sulla guancia; mentre scarichiamo cartelle più grandi di loro e cerchiamo di risolvere il compito di matematica dalle informazioni del gruppo chat delle mamme tuttofare. Poi basta una domanda: cosa vuoi fare da grande? «Prima pensavo all’astrofisico, poi ho cambiato idea: voglio diventare il custode del parco delle Cornelle. Gli animali sono la mia passione».

Ecco, passione. L’ho detto alla nonna con orgoglio: faccia ciò che vuole questo bambino magretto e chiacchierone, ma lo faccia con passione. Sempre e comunque. Che sia il corso di arrampicata, la ricerca sui Babilonesi, che sia una lezione di nuoto dove annaspa ma si crede un campione. Che sia la vita nella sua immensità. Faccia la scuola con passione e senza paura: genera diffidenza e autoreclusione. Questo l’augurio per stamattina. Con il patema di sapere che anche quest’anno finiremo in qualche guaio, che rideremo molto, ma si urlerà anche parecchio, che ci beccheremo qualche pallonata in faccia a basket e gireremo il mondo con la fantasia. «Mi raccomando – gli ho detto una volta prima di una verifica -. In classe stai con…». Ecco gli occhi da malandrino: «Tranquilla, mamma sto con… tento». Speravo nel con… centrato, ma poi ho capito che forse mi sbagliavo io. Forse siamo noi genitori a dover tirare il fiato, qualche volta, a rilassarci un po’ perché tanto non ce la si fa a organizzare questo turbine di emozioni.

Serve scompiglio, servono ancora quelle briciole sul pavimento perché la merenda si fa combattendo i nemici stellari. Poi ti volti e la vedi, la ragazza di casa. Lei la cartella l’ha voluta rossa, perché ha le scarpe abbinate. Va in prima elementare, e anche qui ci sarà da correre, come per tutti i genitori che stamattina saranno davanti a quei cancelli. Perché il primo giorno di scuola non lo si dimentica. «Mamma, mi accompagni, io entro e imparo a scrivere e a leggere. Così poi vado a cercare le principesse su Google» mi ha detto. Tutto qui, pare non serva altro. Essere genitori è complicato. E follemente divertente.

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