Colombo, due lombardi
volati tra le vigne del Moscato

Calamandrana e Bubbio. Due piccoli centri dell'Astigiano, tra dolci colline e vigneti, un regno di pace e di cultura contadina. Qui sono volati due “Colombi” che hanno lasciato il caos e le tensioni della vita in Lombardia per ritrovare qui il loro eden. Parlo di due famiglie lombarde, che di cognome fanno Colombo, e che – guarda caso – ho incontrato vagabondando sulle colline tra Langhe e Monferrato, una a Calamandrana, l'altra a Bubbio. Non stanno con le mani in mano, perché i lombardi hanno nel sangue il moto perpetuo, ma hanno scelto la terra, la campagna, l'antica arte di fare del buon vino.

A Calamandrana passava il treno, ribattezzato “Il treno del Moscato”, lo stesso a cui lo scrittore Cesare Pavese ha dedicato pagine piene di poesia. Il treno non passa più, almeno fino a settembre (pur avendo una valenza turistica rientra nella soppressione di linee decisa dalla Regione) e l'attiva amministrazione comunale ha ristrutturato la vecchia stazione facendone la sede della biblioteca, della scuola di musica e di spazi espositivi. Accanto è un altro edificio ristrutturato che ospita la “Bottega del Vino”, che giustamente dà al visitatore la possibilità di trovare bottiglie di tutti i produttori della zona.

Sulla tipologia di vino c'è solo l'imbarazzo della scelta: Moscato docg, Barbera, Brachetto, Cortese, Dolcetto, Freisa, Grignolino. Se capitate qui al sabato mattina potete anche fare la spesa al mercato “a chilometro zero” al quale hanno aderito gli agricoltori della zona che vendono direttamente i prodotti tipici dei loro terreni e della loro trasformazione: a secondo della stagione, peperoni quadrati e carnosi, cardo gobbo (ideale da mangiare con la celebre “Bagna càoda”), salame cotto, tartufo, nocciole (della tipologia “Tonda gentile delle Langhe”), la robiola di Roccaverano Dop (con solo latte di capra). In alto, sopra il paese, una antica cascina ristrutturata ospita l'azienda agricola “La Giribaldina”, acquistata nel 1995 dalla famiglia lombarda Colombo, originaria della provincia di Varese: papà Francesco alla commercializzazione, mamma Mariagrazia a seguire la produzione, il figlio Francesco tra i vigneti.

Una decina di ettari, una produzione limitata a 70 mila bottiglie di qualità, di cui 50 mila sono Barbera d'Asti Docg in tre versioni, la regina della zona (femminile, perché qui la Barbera è femminile). Poche ma buone le bottiglie (il Moscato secondo per quantità), che trovano anche la strada di Usa e Giappone. Per chi vuole godersi questo angolo di pace, l'azienda ha a disposizione una foresteria con due camere (www.giribaldina.com). A Bubbio, qualche chilometro più a sud, scopriamo un'altra famiglia lombarda dal cognome Colombo. Qui tra silenziosi boschi e un paesaggio ancora incontaminato, il cardiologo di fama internazionale Antonio Colombo, primario al “San Raffaele” di Milano, ha trovato terreno fertile per trasformare la sua passione per il vino in un progetto ambizioso e proiettato nel futuro. Dopo l'acquisto, nel 2004, dei 10 ettari di vigneto che circondano “Cascina Pastori”, il progetto ha mosso i primi passi nel 2006 con l'inaugurazione della nuova cantina, concepita senza voli pindarici e nel pieno rispetto dell'ambiente circostante. Ma è dal luglio 2010, dopo un incontro “fortuito”, che l'azienda ha allargato la sua prospettiva, ovvero dal momento in cui il cardiologo Colombo e l'enologo Riccardo Cotarella sono entrati in contatto.

Nasce così l'Azienda Vitivinicola Colombo Antonio e figli, ossia Andrea e Paola, che seguono quotidianamente l'attività, con l'aiuto di Paolo Romaggioli enologo. Per ora la produzione si attesta sulle 60 mila bottiglie, tra cui circa 7 mila di Pinot Nero, vitigno tanto difficile quanto inconsueto in Piemonte. Vinificato in nero è una delle chicche dell'azienda, in attesa che arrivi sul mercato nel 2014 un Pinot Nero Rosé Alta Langa Riserva, un Metodo Classico che sta lavorando sui lieviti per 36 mesi. Così ha deciso Cotarella e c'è da credere che l'attesa non sarà vana. Altre etichette in produzione sono lo Chardonnay in purezza e il Moscato d'Asti, anche passito (www.colombovino.it).

Tornando verso Alba, mi fermo a Diano d'Alba, il paese dei “Sorì”, così vengono chiamati gli appezzamenti solatii di vigneto che danno origine ad altrettanti cru. Mi consigliano una cantina appena fuori paese, la Coluè, una delle più storiche, fondata nel 1824 e passata di mano da circa un anno. E' in fase di ristrutturazione e si vede. Le antiche profonde cantine, però, ci sono da sempre e sono un patrimonio storico. La cascina e gli 11 ettari di vigneto sono oggi di proprietà del Gruppo Marachella spa di Torino, con molteplici interessi nella ristorazione e nell'ospitalità, ora anche nell'enologia. Direttore è Stefano Cagliero che di vino se n'intende.

Qui si producono solo vini rossi, circa 80 mila bottiglie per ora, tra Dolcetto di Diano che dalla vendemmia 2010 ha acquisito la docg e quindi si può anche chiamare solo con il nome “Diano”, quindi Barbera, Nebbiolo e Barolo. Il cru per eccellenza del Dolcetto si chiama “Sorì della Sorba” e va assaggiato perchè merita veramente attenzione. La docg “Diano” è stato un passo avanti nella promozione di questo vino ma restano altri passi da fare per una strategia di marketing che veda coinvolti i molti produttori. La“Coluè” ha già anticipato gli altri e si sta muovendo con successo (tel. 0173.468557, [email protected]).

Roberto Vitali

© RIPRODUZIONE RISERVATA