Chi fa e chi parla

Perché la Germania ha aperto le porte ai profughi siriani? Perché può distinguerli dagli altri, perché è in grado di verificare il loro status velocemente. Perché certe volte i difetti diventano pregi, e l’organizzazione maniacale che fa riconoscere i teutonici nel mondo in questo caso è un pregio inestimabile.

Mentre da noi un profugo, un migrante, un disperato sceso da un barcone sa già che la sua richiesta di asilo verrà vagliata in due anni (con le conseguenze del caso dal punto di vista sociale, lavorativo e di sicurezza), ad Hannover o a Baden Baden dovrà attendere neppure un mese. Nei giorni scorsi mentre Angela Merkel stupiva il mondo con un gesto umanitario che oggi la pone come leader naturale dell’Europa, il suo staff metteva a punto una macchina organizzativa in grado di identificare, accogliere (o respingere) e avviare a destinazione migliaia di persone in poco tempo.

Poiché le macchine organizzative necessitano di uomini, non ha esitato a rinforzare la già efficiente burocrazia tedesca con duemila funzionari dedicati soltanto a queste pratiche. Lo ha spiegato Daniel Gros, direttore tedesco del Center for economic policy studies di Bruxelles: «Le ragioni tedesche sono spirito umanitario e realismo. Quasi tutti i siriani, vittime di un conflitto che dura dal 2011, hanno diritto all’asilo ed è impossibile capire dove sono sbarcati».

«Chi sa fare fa, chi non sa fare parla», sostengono i teorici dell’efficienza. E nella grande emergenza che stiamo vivendo serve, anzi è decisiva. Per questo il tempo dedicato in Italia alla chiacchiera - sul tema decisivo dei riconoscimenti - da parte del governo, dell’opposizione e persino degli enti locali fa cascare le braccia. Ma nel nostro Paese va così, la chiacchiera viene spesso scambiata per sostanza.

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