Doppia kappa

A Roma c’è un teatro occupato da tre anni, anzi dovremmo scrivere okkupato per storicizzare l’iniziativa e inserirla in un contesto politico più appropriato. L’operazione era nata contro la privatizzazione della struttura ed è andata avanti anche a pericolo scampato.

A Roma c’è un teatro occupato da tre anni, anzi dovremmo scrivere okkupato per storicizzare l’iniziativa e inserirla in un contesto politico più appropriato.

L’operazione era nata contro la privatizzazione della struttura ed è andata avanti anche a pericolo scampato, una sorta di «resistenza artistica pacifica» con spettacoli all’interno, la legittimazione culturale all’esterno (tra i sostenitori Baricco, Moni Ovadia, Jovanotti, Camilleri, Lidia Ravera e Toni Servillo) e il generale disinteresse di amministrazione e forza pubblica, indecise per tre anni se fare il passo più ardito: sgombero o non sgombero? Secondo il regista Gabriele Lavia «andavano presi a sculacciate, ma nessuno ha avuto il coraggio di farlo. L’occupazione durata tre anni è colpa dei sindaci che hanno avuto paura di sentirsi dire che erano troppo poco di sinistra. Compreso quello di destra».

Una ricostruzione al vetriolo che anticipa il dossier della Corte dei Conti: cinque milioni di mancati introiti, 300 mila euro non versati alla Siae, mancati pagamenti dei contributi sugli spettacoli, 80 mila euro di bollette saldate dal Comune, un milione e 600 mila euro l’anno per il controllo della sicurezza da parte dei Vigili del fuoco. E 130 mila euro di affitto di bar, botteghino e foyer, ancora di proprietà privata. Arrivato il conto, l’okkupazione sembra smobilitare le kappa e gli ideali improvvisamente si appannano. E’ ovvio che finirà per pagare l’Urbe. Ma il costoso gioco dei reduci trasforma la grande bellezza in una grande tristezza.

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