Ottavio Missoni a Bergamo:«La moda non conosce crisi»

Ascolta le parole di Ottavio Missoni

È sempre sorridente Ottavio Missoni, a Bergamo per incontrare gli studenti del Liceo Mascheroni. L’argomento del giorno è la sua infanzia in Dalmazia e la sua storia avventurosa: da campione di atletica a uno degli stilisti più importanti del Made in Italy.

A Bergamo, prima dal sindaco Roberto Bruni e poi al Mascheroni, è arrivato sorridente e sferzante, come lo è sempre: «Non ci vuole la moda per vestire con cattivo gusto» è la prima dichiarazione che rilascia. Lui che tra un racconto e l’altro della sua vita, non rinuncia mai a bacchettare. Anche quando si parla di crisi economica: «La moda non sente crisi - dice -. È come se si dicesse che il caviale risente della attuale difficoltà. Non è così. È un settore che sta dietro la moda a percepire il momento difficile: l’abbigliamento è in crisi, il comparto del tessile in particolare».

Poi quattro chiacchiere sulla sua vita di tutti i giorni: «Ormai non c’entro più nulla con la moda - fa spallucce con modestia -. Hanno tutto in mano i figli. Io ho il mio giardino». Sì, a Sumirago, paesino del Varesotto dove la famiglia Missoni lavora e vive da oltre trent’anni. «Casa e bottega» come ha detto più volte lo stilista: un edificio per gli uffici, l’imballaggio e la spedizione. Poco più in là, nascosta tra i rododendri, la fabbrica tessile. Ancora avanti la casa, circondata da ettari di terra, da piante e fiori - 190 specie -, la grande passione di Ottavio. Viene quasi naturale chiedersi allora se quel mondo di sfumature possa entrare anche nei suoi fogli a quadretti dove, in un gioco di armonie, Missoni fa ancora abbracciare colori impensabili. «Mi diverto con i colori, per me è sempre stato un gioco - spiega -, ma adesso a decidere sono i figli».

Ottavio Missoni è così: ha vissuto questo mestiere un po’ per caso, molto per divertimento: «Da ragazzo vivevo a Trieste e la zia di un amico aveva una macchina per fare la maglia: ero affascinato dal filo e dagli aghi, dalla trama e dall’ordito, dal gioco di intrecci che dava vita al tessuto. Già alla fine degli anni ’30 abbiamo aperto una piccola una società: io e questo amico presidenti, e due macchine per fare la maglia. A quel punto il problema era chi avrebbe fatto l’operaio…» raccontava in un’intervista a L’Eco di Bergamo due anni fa, in occasione del suo 85esimo compleanno. «All’inizio degli anni ’50 avevo già realizzato degli indumenti sportivi, avevo vestito la squadra olimpionica italiana a Londra. Dopo il matrimonio, con Rosita mi sono trasferito qui nel Varesotto. Lei è di Golasecca, e io conoscevo la zona perché correvo con la Gallaratese. Abbiamo portato la nostra attività qui, perché in fondo a Trieste era più facile varare una nave che fare una maglia. Così abbiamo fatto una nuova società io e lei: io ero sempre il presidente, lei era quella che lavorava» continuava così il suo racconto.

Ottavio e Rosita Missoni sono prima di tutto una coppia, una squadra vincente. Rosita lo dice spesso: «La prima volta che vidi Ottavio, lo vidi vincere». Era il 1948, alle Olimpiadi di Londra. Ottavio era già stato campione italiano sui 400 metri nel ’38 e a Vienna campione mondiale studentesco; in Inghilterra era finalista nei 400 a ostacoli. Rosita era andata a vedere la corsa insieme alle sue compagne di classe, accompagnata dalle suore del collegio londinese dove studiava. Oggi sono una delle poche coppie stabili del mondo della moda. «Rosita si diverte con il settore casa. La linea "Home" funziona alla grande, un successo mondiale» commenta Ottavio Missoni.

E lui, nel frattempo, continua con i suoi abbinamenti di colori e tessuti. «Faccio i compitini che mi danno i miei figli, resta la curiosità» continua Missoni, che ricorda i primi tempi: «Andavo nelle tessiture a cercare materiali diversi tra loro, provando a unirli, scoprendo anche con meraviglia l’effetto che si creava davanti ai miei occhi. Così è successo con il colore: negli anni ’60 e ’70 nell’abbigliamento siamo riusciti a rompere certi schemi. Probabilmente questo è dipeso anche dal fatto che io e la Rosita non venivamo dalla scuola, ci sentivamo più liberi di interpretare le nostre sensazioni, di andare a istinto. Abbiamo affrontato questo mestiere senza nessun pregiudizio, senza regole da rispettare. Ci è andata bene».

E se gli si chiede quale è il futuro della moda: «No, no, io non rispondo. La moda non è il mio mestiere, è il lavoro di Angela». La figlia, direttore artistico e creativo di Missoni, ha preso in mano la linea di abbigliamento di famiglia dal 1998. «Io non so nulla dei nuovi modelli». Modestia a parte, è la sua di inventiva che ha creato un «marchio» che accompagna la maison da oltre cinquant’anni e che, in un mondo della moda spesso omologato, pone i Missoni in un piccolo mondo a parte. Che non ama i riflettori a tutti i costi. Ottavio lo ha sempre detto, in fondo: «Noi non nasciamo come "moda", ma come artigiani. E restiamo comunque tali».

(25/11/2008)
Fabiana Tinaglia

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