La Senzafreni
è arrivata 211ª

ULAANBAATAR (MONGOLIA) - Sono le 22,30 di lunedì sera a Ulaanbaatar, vi sto scrivendo dal pub, con connessione wifi per internet, dov’è ubicata la finish line del Mongol Rally 2009. Siamo nel centro della città, accanto al cinema e teatro Tengis. Qui sotto ci sono le auto che sono arrivate nei giorni scorsi sane e salve nella capitale mongola e c’è l’ufficio di Adventurists, l’organizzazione inglese, che deve smistare le superstiti su quattro ruote ad Afd, ong responsabile della donazione delle auto.

Al pub si ci si racconta l’avventura e si beve birra, c’è un’atmosfera di amicizia e di felicità. Martedì mattina ho il volo Aeroflot per l’Italia, il raid è ormai archiviato e io sono un po’ triste, ma non perché non desidero rientrare a Bergamo, in realtà la stanchezza è esplosa e io sogno il letto di casa e un bel piatto di lasagne, bensì perché è stato duro separarsi dalla Panda.

All’utilitaria «senzafreni» mi sento legato, peraltro non solo il solo ad essermi innamorato di un catorcio con i fiocchi, e il destino che attende l’utilitaria mi sembra nebuloso. Come vi avevo raccontato, siamo entrati in Mongolia con uno stratagemma irregolare per evitare una lunga attesa al confine e ora rischiamo di pagare un prezzo salato.

Non entro nei dettagli in quanto ho già io il mal di testa, ma in sintesi dobbiamo regolarizzare la nostra posizione sia con l’Aci, perché abbiamo utilizzato erroneamente il carnet di passage, che si utilizza per l’importazione temporanea di un veicolo e non per una donazione, sia con le autorità mongole che abbiamo gabbato.

Così, l’Aci - con cui abbiamo in ballo una fideiussione di due mila euro - reclama una dichiarazione inconfutabile in cui si dice che la Panda è stata regalata a una ong e i mongoli pretendono il pagamento di una tassa d’importazione non ben definita ma non inferiore a 1.000 dollari.

Una grande confusione, un perito ha valutato la «senzafreni» una miseria, 800 dollari, al che mi sono inalberato - perché l’auto non ha una pecca - e ho pensato che quasi quasi sarebbe valsa la pen a infilare la Panda in un container e inviarla in Italia. Ma ormai era tardi per la soluzione alternativa.

Così ho impiegato molto tempo per staccare le targhe, quasi come non volessi separarmi dalla piccola Fiat, l’ho ammirata sconsolato e ho regalato ai passanti quanto c’era ancora all’interno: cassetta degli attrezzi, frigoriferino, tenda, ricetrasmittenti e magliette. Ho consegnato le chiavi, firmato la cessione dell’auto e addio Panda a malincuore con un bel bacio.

In precedenza avevo ripetuto la foto ricordo sulla finish line alla luce del sole e scoperto la classifica, dal valore puramente simbolico, del Mongol Rally 2009: 211ª posizione per la Panda «senzafreni», il team bergamasco «Spandati», che ha evitato il Pamir, è approdato a Ulaanbaatar il 16 agosto (posizione numero 133), mentre i primi in assoluto sono stati tre equipaggi spagnoli, entrati nella capitale mongola addirittura l’8 agosto.

Un paio di orette per lo shopping e la giornata è sfumata. In serata ho conosciuto Fabrizio Spitari, fotografo e componente del team Cesvi. Avevo scritto che l’ambulanza Volkswagen Trasport T3, anno 1988, dell’ente umanitario non si era presentata all’Arena civica di Milano per guai meccanici.

Partenza ritardata di dieci giorni e volata sfiancante, con problemi in Iran (motore rotto) e in Siberia (strade pessime), tanto che due dei cinque componenti hanno dato forfait durante il viaggio: hanno resistito Fabrizio, il medico Alessandro Amorosi e la stilista Marta Forghieri, trio milanese, che si sono alternati alla guida e sulle due brandine e hanno completato il raid venerdì 21 agosto. A risentirci, ci restano da raccontare i tre giorni nel deserto dei Gobi. Con una bella galleria fotografica.

Marco Sanfilippo

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