I colori
della Tunisia

Il bianco, il blu e gli altri colori della Tunisia. Un reportage dopo la rivoluzione di gennaio.

testo e foto di Ada Grilli

Revoltez-vous! Così mi ha incitata una giovane studentessa universitaria di Tunisi, quando pochi giorni fa, a tavola sotto le tende nel deserto, si chiacchierava della loro rivoluzione di gennaio 2011 e della nostra situazione italiana. Prenderemmo mai lezioni dai tunisini noi italiani, benché non succubi della grandeur dei francesi? No certo, anche perchè i nostri giovani hanno altro a cui pensare e comunque godono di uno stato di benessere ovattato che li tiene costantemente in stand by. I giovani tunisini invece hanno dato la stura ad una rivolta di piazza inaspettata e fulminea, un evento storico tal quale la rivoluzione francese. Tanto di cappello.

L'ho vista pochi giorni fa Piazza Tahir nella bianca Tunisi dove si è consumata la breve efficace rivoluzione detta “del gelsomino” e pure l'altra piazza ora denominata “Place14 Janvier”; la vita è tornata nei ranghi nella capitale e ora si circola senza alcun problema di sicurezza. La gente fa la sua vita con i vari traffici quotidiani, la Medina è un viluppo di vicoli e piccoli commerci, proprio quello che ci affascina delle città africane e che noi non abbiamo più nelle nostre città dove la vita è tenuta ben al riparo dalla vita di strada. Tunisi è bellissima vista da lontano così bianca e compatta, con le porte ma senza più mura ( inutile cercarle perché i francesi le hanno distrutte, il che fa un effetto strano come di una finestra senza facciata).

Il mare è a due passi e ci si arriva anche in metropolitana.

Ma proprio la sua vicinanza al mare rende fragile la città. E questa è una vecchia storia che vale la pena ripassare un po'. Ci aiutano a ricordare le rovine di Cartagine, a pochi chilometri dalla capitale. Oh ma Cartagine è in Tunisia? Sissignori, ma l'avevamo dimenticato, anzi rimosso, presi come siamo coi problemi dei clandestini che sbarcano quasi quotidianamente in Sicilia. Cartagine duemila anni fa era una potente città punica su una splendida collina che guardava il Mar Mediterraneo. Di Cartagine era quel tal Annibale Barca che passò le Alpi con trentasette elefanti e diede più di qualche pensiero ai romani, sicché decisero che la città “doveva” essere distrutta ( un imperativo che si ripete per oltre duemila anni, ora qua ora là nel mondo). A Cartagine è legata anche la vicenda, un po' romanzata per la verità, della regina Didone.La storia vera scorre in quello che è ora uno dei più interessanti siti archeologici del Nord Africa( e protetto dall'Unesco), per cui a Cartagine occorre dedicare tutta una giornata che sarà assolutamente ben spesa. Può essere che la ripassatina ci faccia bene anche dal punto di vista generale( ma chi sono, anzi chi erano questi tunisini? Cosa è successo in questi duemila anni? Che ci fanno oggi le barche di pescatori nel famoso porto punico circolare?).

Vicinissimo alle rovine, e dunque vicino anche a Tunisi da cui dista solo 17 km, un villaggio tutto bianco e azzurro che pare una filigrana, appollaiato come uno dei suoi tanti gatti su uno sperone che dà sul mar Mediterraneo. E' Sidi Bou Said, forse il più bel villaggio di tutto il Mediterraneo. C'è armonia ordine e colore nelle costruzioni, una quiete da sogno nelle stradine. Che fare a Sidi Bou Said? Quello che facevano i pittori francesi quando arrivavano in Tunisia, fermarsi a prendere un caffè arabo, a fumare un sigaro, a dipingere una viuzza, a guardare il mare. Paul Klee era da quelle parti nel 1914 e ne rimase ispirato. Se ci si vuole cimentare, anche senza l'ambizione di raggiungere la fama del grande pittore francese, basta non avere fretta e portare con sé in valigia due colori: il bianco e l'azzurro appunto.

Un azzurro che ritroveremo più a sud, ma non tanto nelle inferriate nelle porte e nei balconi quanto negli abiti degli uomini del deserto. Meravigliosi e principeschi, misteriosi nei loro vestimenti azzurri ben drappeggiati, come principi azzurri per l'appunto, alti anzi inarrivabili sui loro dromedari bianchi dal passo felpato. Siamo forse capitati in una favola? La favola dei principi del deserto? E dove sono questi uomini azzurri?

Per trovarli bisogna andare giù nel grande sud, almeno oltre Tozeur, verso e oltre Douz. Qui c'è una Tunisia appartata, ma partecipe alla vita del Paese, niente affatto marginalizzata insomma. Il deserto è tutt'intorno, di pietre e di dune, pochi arbusti stentati, ma sulle dune è solo purezza di linee, per la gioia degli occhi e degli obiettivi nikon, canon eccetera. Ma qua e là, dopo una curva può spuntare un'oasi e si direbbe tutto un altro pianeta. Il verde allora riempie gli occhi e gli obiettivi, ma soprattutto si respira frescura e si intuisce ricchezza. Di frutti deliziosi, di fogliame, di corteccia, di legno dalle palme anch'esse ritte e fiere come gli uomini sui dromedari. Non ci sono palme bruttine, le palme sono sempre splendide e da queste gli uomini del deserto dipendono come noi dall'ufficio. E della palma non buttano via nulla, come facciamo noi col maiale.

Il palmeto di Tozeur è una vera enorme foresta a tre piani con culture di frutta e legumi da orto che crescono benissimo all'ombra leggera delle palme, ma dentro ci sono anche attività di servizi, per esempio ci si può mangiare ben serviti come pascià e adagiati sui tappeti stesi sotto le fronde come una moquette, oppure pernottare nelle casette a palafitta di uso turistico, di legno come gli chalet svizzeri tra gli abeti delle nostre alpi.

Hanno della fantasia questi tunisini. Lo si capisce subito da come usano i mattoncini di sabbia e di argilla per fare le facciate di qualunque cosa si affacci su una strada. Non un mattone sopra l'altro come fanno tutti, ma uno in fuori e uno in dentro, a creare bassorilievi di losanghe, quadrati, greche, disegni geometrici fantasiosi e incredibili. Vale la pena stare qualche giorno a Tozeur anche solo per bearsi di queste realizzazioni architettoniche da far invidia alle nostre archistar. Se poi si osserva bene come riescono a tenere su quelle enormi magnifiche tende da deserto dove sono capaci di allestire sontuosi banchetti per centinaia di persone, ci si renderà conto di come i popoli del deserto, tunisini inclusi, siano veri maestri dell'architettura leggera e non invasiva sulla sabbia. Tanto di cappello.

Ma il massimo è il mix di tende tradizionali, costruzioni a cupola che sono stati il set di film famosi come Guerre stellari e illuminazione scenografica delle dune. Da godere di notte vicino a Nefta, precisamente a Ong Jemal (Il collo del cammello).

Ada Grilli

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