Il commento: la verità
può sciogliere la nebbia

Eccolo, il giorno tanto atteso. Ecco il giorno in cui Cristiano Doni si troverà di fronte le domande, le carte. Le accuse. Lui, il capitano dell'Atalanta, accusato di aver deviato i risultati per favorire le scommesse sue e di qualche lestofante.

Eccolo, il giorno tanto atteso. Ecco il giorno in cui Cristiano Doni si troverà di fronte le domande, le carte. Le accuse. Lui, il capitano dell'Atalanta, accusato di aver deviato i risultati per favorire le scommesse sue e di qualche lestofante.

Una bestemmia, per il popolo nerazzurro, diviso tra innocentisti al limite del fideismo e tifosi erosi dal dubbio. Ma nelle vicende giudiziarie, in fasi come queste, non hanno ragione le sensazioni. Hanno ragione solo le carte. Quel che da qui ci sentiamo di chiedere è che si faccia in fretta, e si faccia bene. Costi quel che costi, gli sportivi bergamaschi hanno diritto alla verità.

Nessuno chiede corsie o trattamenti preferenziali per l'Atalanta, né d'altro canto sono accettabili accanimenti. Si chiede giustizia, in tempi rapidi. Perché l'Atalanta la serie A se l'è conquistata sul campo. E adesso deve poter lavorare per progettare quel che sarà. Le concorrenti corrono, fanno acquisti.

L'Atalanta ha il diritto di poter lavorare sul mercato alla pari con tutti, così come la squadra deve poter avviare la preparazione con la testa al campo di Rovetta, più che agli uffici del procuratore Palazzi. Ecco perché speriamo che dall'interrogatorio di Doni - e dai successivi passi formali della Procura federale - escano parole chiare, vengano passi avanti che dissolvano la nebbia.

C'è un popolo, alla finestra, che si chiede se sia davvero possibile che il suo capitano, il giocatore con più gol segnati nella storia dell'Atalanta, abbia fatto quelle cose lì. È un popolo che non ci vuole credere, che da un mese e mezzo si chiede cosa accadrà. La parola passa a Cristiano Doni. Vada a Roma a testa alta, da cittadino benemerito di Bergamo. E faccia vincere la verità. Qualunque sia la verità.

Roberto Belingheri

© RIPRODUZIONE RISERVATA