La coda di Tatai

Autore: Gaetano Testa Prezzo: € 8 Dati: 86 p. Anno: 2004 Editore: Flaccovio Collana: Scritture

Ci sono libri di narrativa che esprimono fantasie più o meno elaborate, invenzioni piacevoli, riflessioni pertinenti, idee felici, considerazioni etiche e morali di vario genere, giovandosi di una scrittura densa, sostanziosa, pregnante. Poi ci sono altri libri di narrativa che propongono magari gli stessi argomenti in forme diametralmente opposte, ossia sviluppano una propria scrittura leggera e trasparente, apparentemente fragile. Uno di questi libri è La coda di Tatai di Gaetano Testa, scrittore siciliano già attivo e molto apprezzato ai tempi dell’ormai storico Gruppo 63. Un libro, quello di Testa, che cresce su se stesso pagina dopo pagina, veloce e ispirato, che si riempie di stupore e di meraviglia, che genera colori e profumi, spunti poetici e felici sorprese. Dunque un libro lieve e sfuggente come l’argomento che tratta: L’autore percorre a piedi con ostentata indolenza e senza meta, le strade di Palermo (ma potrebbe trattarsi di una città qualsiasi), annota liberamente ciò che vede o non vede, ciò che immagina o ciò che crede di immaginare, si inventa compagni di viaggio inesistenti (non invadenti però) con i quali scambia rare parole, registra micro eventi con la curiosità di un entomologo, ammira, annusa e assapora antichi edifici in decadenza, antichi splendori del passato, osserva il comportamento delle persone e degli animali, lo stato del cielo o della stagione nella quale si trova in quel momento, respira l’aria salmastra che assedia la città, viene sfiorato dai venti e dai petali dei fiori, fa riferimenti polemici all’attualità, esprime ripetuti giudizi critici su cose vicine e lontane, divaga in continuazione seguendo il filo di pensieri che a volte lo portano nel passato, in tempi remoti, nella sua giovinezza; insomma ci consegna l’autore di sé un lungo rendiconto di fatti e di riflessioni pieno di grazia e di straordinaria partecipazione, un diario incantato che trasforma i momenti e le pause del vivere quotidiano in piccole epifanie. Queste fantasticherie di un passeggiatore solitario ci fanno pensare a una inedita identificazione profonda e inalienabile tra l’autore girovago e il mondo che lo circonda così che i due, l’osservatore e l’osservato, diventano una cosa sola.

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