Torre dell’Alchimista, la band bergamasca sbarcata a New York

Torre dell’Alchimista, la band bergamasca sbarcata a New YorkNegli Stati Uniti ci sono stati davvero, toccando con mano il sogno americano. Per sei bergamaschi, Davide Donadoni, Elena Biagioni, Michele Giardino, Michele Mutti, Noberto Mosconi, Silvia Ceraolo, è stata la musica a fornire il passaporto per transitare all’ombra della Statua della Libertà.

Una musica che, nel loro caso, in controtendenza con le mode del momento, batte le corde del rock progressivo, di quel connubio tra rock e ambizioni compositive che durante gli anni settanta generò l’epopea narrata dalle canzoni e dalle composizioni di Traffic e Jethro Tull, Gentle Giant e Procol Harum, Genesis e Keith Emerson, Caravan e Soft Machine. Alle nostre latitudini altrettanto entusiasmanti ed eterogenee sono state le traiettorie tracciate da PFM, Orme, Banco del mutuo soccorso, Area, Perigeo. Da quelle lontane suggestioni hanno tratto alimento i sei della Torre dell’Alchimista, tutti giovani entro i trent’anni, tranne Noberto, già veterano del rock orobico. Non sono stati risucchiati, come molti loro coetanei, nel vortice dei ritmi dello ska e tanto meno hanno guardato con interesse alle furibonde scariche sonore del punk e del metal. Con dedizione e passione hanno rinunciato alle rassicuranti cornici della canzone rock per avventurarsi nelle commistioni tra contrappunti barocchi e groove batteristici, tra melodie dalle traiettorie oblique e lunghe sequenze strumentali in tempo dispari. Un itinerario in musica oggi raro, persino bizzarro, al quale hanno partecipando esibendo un’evidente propensione per il virtuosismo e per il gesto esecutivo sorprendente, abbinando ai suoni del rock e alle preponderanti tastiere i suoni acustici di flauto, ottavino e clarinetto, oltre ad arditi cori e seconde voci. Dal 1997, anno d’avvio della loro esperienza musicale, hanno imboccato una strada poco battuta, adottando l’immaginario che spesso accompagna iconografia, scenografie e testi delle band del progressive rock.

Attratti nell’orbita fascinosa e remota delle saghe tradizionali e di nordiche selve popolate da maghi e gnomi, questi gruppi amano darsi una cornice fantasy, buon emblema di una musica che da molteplici radici genera un arbusto strano e unico nella foresta dei suoni in cui viviamo. La buona stella, propiziata da qualche genio benevolo, ha portato i nostri a pubblicare nel 2001 il loro primo album ("La torre dell’Alchimista") per l’etichetta milanese Kaliphonia, specializzata nel settore, raccogliendo ottimi consensi critici. Poi, l’estate scorsa, l’imprevisto volo verso il Nearfest di Trenton, New Jersey, uno dei due principali appuntamenti concertistici internazionali dedicati a questa musica. Quasi per incanto a questi giovani cresciuti sui pendii dei colli e delle montagne bergamasche è toccato in sorte di vedere il proprio nome scritto accanto a quello di artisti come Caravan a Steve Hackett che hanno già inciso il loro nome nella storia del rock. Sono così passati dalle poche occasioni di esibizione in pubblico, peraltro più numerose fuori provincia, e dalle scarne platee dei pub nostrani alle tremila presenze del teatro americano. Il loro album, nel frattempo, ha venduto tremila copie. Per questi giovani alfieri di un rock che insegue l’arabesco melodico e l’incastro raffinato delle voci, è una bella soddisfazione sapere che buona parte di queste copie sono ora tra le mani di appassionati giapponesi (circa mille copie), statunitensi, francesi. Mentre è imminente (aggiornamenti nel sito www.torredellalchimista.it) la pubblicazione della registrazione dal vivo effettuata quasi un anno fa negli Usa. Un bel modo per ricordare una serata coronata dalla standing ovation che il pubblico americano riservò a questi giovani ed entusiasti musicisti bergamaschi.

(15/05/2003)

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