«Erano tutti miei figli», la recensione di Pier Giorgio Nosari

La messa in scena di Cesare Lievi ripudia ogni tentazione naturalistica: niente villette con giardino, niente idillio da provincia felice. La guerra incombe sulla scena, avvolta da un telo mimetico (che nel terzo atto svela la carcassa di un aereo militare): uno spazio della mente, che rappresenta la falsa coscienza dei protagonisti, amplifica la dimensione da incubo del testo di Miller, ne accentua gli aspetti simbolisti e gli elementi da tragedia moderna.
Il "no" di una generazione all’ipocrisia di un’intera società acquista un valore più universale. È un disperata ricerca di verità e di corrispondenza tra gli ideali per cui si è combattuto e un sistema di vita improntato al benessere.
Forte l’impatto degli attori: su tutti Umberto Orsini (Joe Keller) e Giulia Lazzarini (la moglie Kate), ambigui, morbosi, carichi di una sia pur strana dignità, ricchi d’umanità. È emozionante seguirli. Ma intorno a loro c’è un cast omogeneo e di qualità (fatto insolito nel teatro italiano).
Pier Giorgio Nosari

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