Un minuto con Dante Alighieri
Matto chi spera che nostra ragione

Dopo che Dante si è accorto che solo lui getta con il suo corpo un'ombra sul terreno mentre Virgilio non lo può fare, il maestro spiegherà come questo fenomeno possa avvenire con un accenno alla dottrina dei «corpi aerei».

MATTO E' CHI SPERA CHE NOSTRA RAGIONE
PG III, 34 ss.


34 Matto è chi spera che nostra ragione
35 possa trascorrer la infinita via
36 che tiene una sustanza in tre persone.

37 State contenti, umana gente, al *quia*;
38 ché se potuto aveste veder tutto,
39 mestier non era parturir Maria;

[…]

46 Noi divenimmo intanto a piè del monte;
47 quivi trovammo la roccia sì erta,
48 che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.

49 Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
50 la più rotta ruina è una scala,
51 verso di quella, agevole e aperta.

52 «Or chi sa da qual man la costa cala»,
53 disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
54 «sì che possa salir chi va sanz'ala?».

55 E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
56 essaminava del cammin la mente,
57 e io mirava suso intorno al sasso,

58 da man sinistra m'apparì una gente
59 d'anime, che movieno i piè ver' noi,
60 e non pareva, sì venian lente.

Dopo che Dante si è accorto che solo lui getta con il suo corpo un'ombra sul terreno mentre Virgilio non lo può fare, il maestro spiegherà come questo fenomeno possa avvenire con un accenno alla dottrina dei «corpi aerei» che verrà approfondita ulteriormente nel canto XXV. Virgilio continua il suo discorso con un'affermazione di grande rilevanza nell'economia della cantica: gli uomini non possono avere la pretesa di comprendere con la sola ragione il mistero di Dio, altrimenti non sarebbe stata necessaria l'incarnazione di Cristo nel seno di Maria. Devono accontentarsi che le cose esistano (cfr. l'espressione latina “quia” che, nel linguaggio della Scolastica, significava appunto “che le cose esistono”), rinunciando alla pretesa di penetrarne l'essenza profonda. E' un ennesimo invito all'umiltà, all'accettazione del limite della ragione umana, ancora più significativo perché a pronunciarlo è proprio un Virgilio turbato, uno degli Spiriti Magni del mondo antico che Dante colloca nel Limbo e dove Virgilio stesso sa che dovrà fare ritorno. Intanto i due pellegrini arrivano alle falde della montagna e mentre Virgilio guarda in basso alla ricerca di un passaggio, Dante rivolge lo sguardo verso l'alto; i due atteggiamenti esprimono in maniera inequivocabile i due diversi destini: quello di Virgilio, la ragione umana che non può raggiungere da sola la salvezza e quello di Dante - il cristiano - che, illuminato dalla Grazia, si sente attratto verso l'alto, verso l'incontro con Dio.

Enzo Noris

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