Un minuto con Dante
Sapìa, la nobile senese

Dante ottiene da Virgilio il permesso di rivolgersi alle anime degli Invidiosi ma facendo attenzione: «Parla, e sie breve e arguto». Dante chiede alle anime se ce n'è alcuna proveniente dall'Italia.

SAPÌA SENESE

13.109 Savia non fui, avvegna che Sapìa
13.110 fossi chiamata, e fui de li altrui danni
13.111 più lieta assai che di ventura mia.

13.112 E perché tu non creda ch'io t'inganni,
13.113 odi s'i' fui, com'io ti dico, folle,
13.114 già discendendo l'arco d'i miei anni.

13.115 Eran li cittadin miei presso a Colle
13.116 in campo giunti co' loro avversari,
13.117 e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.

13.118 Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
13.119 passi di fuga; e veggendo la caccia,
13.120 letizia presi a tutte altre dispari,

13.121 tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia
13.122 gridando a Dio: "Omai più non ti temo!",
13.123 come fe' 'l merlo per poca bonaccia.

13.124 Pace volli con Dio in su lo stremo
13.125 de la mia vita; e ancor non sarebbe
13.126 lo mio dover per penitenza scemo,

13.127 se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe
13.128 Pier Pettinaio in sue sante orazioni
13.129 a cui di me per caritate increbbe.


Dante ottiene da Virgilio il permesso di rivolgersi alle anime degli Invidiosi ma facendo attenzione: “Parla, e sie breve e arguto”. Dante chiede alle anime se ce n'è alcuna proveniente dall'Italia ed ottiene in risposta l'affermazione che qui, nel Purgatorio, ogni anima è cittadina di un'unica città e non ha più senso fare distinzioni in base all'origine.

A rispondere è Sapìa senese, una donna appartenente ad una nobile famiglia, zia di quel Provenzan Salvani incontrato tra i Superbi. Anch'ella era talmente arrogante e accecata dall'invidia che arrivò al punto di esultare davanti alla sconfitta dei suoi concittadini nella battaglia di Colle Valdelsa del 1269, la stessa in cui morì Provenzan Salvani. Anzi, Sapìa, rivolgendosi in tono sprezzante verso Dio, gridò “Omai più non ti temo!”.

Lei stessa si paragona però nel verso successivo al merlo sciocco che, illudendosi ai primi tepori di essere ormai in primavera, finirà per morire di freddo. Si tratta di un proverbio popolare toscano che allude ai cosiddetti “Giorni della merla” e serve in questo passaggio a smorzare i toni e ad attenuare quella sorta di bestemmia urlata da Sapìa contro il cielo. Sapìa, che significa “Saggia”, ha dimostrato in vita di non esserlo affatto: nel suo caso il nome non è stato presagio della sua futura saggezza ma al contrario della sua invidiosa stoltezza. Pentitasi prima di morire, fu grazie alle preghiere di un sant'uomo, Pier Pettinaio, che meritò di accedere direttamente al Purgatorio, nella seconda cornice.

Enzo Noris

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