Un minuto con Dante:
«Chi perdè Ierusalemme»

Dante, tutto preso ad ammirare questo strano abete, viene richiamato da Virgilio affinché prosegua con loro il cammino senza perdere tempo. All'improvviso si ode piangere e cantare le parole del Salmo 50: “Labia mea, Domine”.

LA GENTE CHE PERDÉ IERUSALEMME

23. 22 Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
23. 23 palida ne la faccia, e tanto scema,
23. 24 che da l'ossa la pelle s'informava.

23. 25 Non credo che così a buccia strema
23. 26 Erisittone fosse fatto secco,
23. 27 per digiunar, quando più n'ebbe tema.

23. 28 Io dicea fra me stesso pensando: "Ecco
23. 29 la gente che perdé Ierusalemme,
23. 30 quando Maria nel figlio diè di becco!"

Dante, tutto preso ad ammirare questo strano abete, viene richiamato da Virgilio affinché prosegua con loro il cammino senza perdere tempo. All'improvviso si ode piangere e cantare le parole del Salmo 50: “Labia mea, Domine”, vale a dire: “Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”. I golosi troppo aprirono le labbra in vita per saziarsi di cibi e bevande, ora pregano che Dio le apra per poter pronunciare le sue lodi e riconoscere il loro peccato. Le anime dei golosi piangono per la loro colpa ma nello stesso tempo cantano, per la speranza e la gioia di essere stati perdonati e di poter giungere alla salvezza eterna.
La schiera dei golosi avanza lentamente, come in una processione: “d'anime turba tacita e devota” (v. 21). Sono pelle ed ossa, pallidi, con gli occhi scavati; per descrivere la loro impressionante magrezza Dante ricorre a due citazioni: una tratta dal mito (la storia tragica di Erisittone, narrata nelle Metamorfosi da Ovidio); l'altra tratta dalla storia drammatica dell'assedio di Gerusalemme, nel 70 d. C., ad opera di Tito. Secondo il racconto di Giuseppe Flavio gli Ebrei assediati patirono la fame a tal punto che una donna di nome Maria, in preda alla disperazione, arrivò a nutrirsi delle carni di suo figlio.
Ai vv. 31 ss. troviamo una curiosità. I golosi hanno occhiaie che ricordano anelli senza genne e sono talmente scavati in viso che sul loro volto si poteva leggere chiaramente la parola OMO: gli occhi infossati corrispondono alle due lettere O, mentre le due sopracciglia ed il naso formano la lettera M.
Enzo Noris

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