Rovine, terrapieni e silenzio
Ecco il villaggio perduto nel bosco

La mulattiera è di quelle importanti, larga più di un metro e mezzo, con i muri a secco che la delimitano sui lati per un'altezza di settanta, ottanta centimetri. Perché una mulattiera così ben costruita arrivava in questo luogo?

La mulattiera è di quelle importanti, larga più di un metro e mezzo, con i muri a secco che la delimitano sui lati per un'altezza di settanta, ottanta centimetri. Perché una mulattiera così ben costruita arrivava in questo luogo?

Che cosa c'era in questo bosco di faggi e di abeti di così rilevante per cui non bastava un semplice sentiero per raggiungerlo? Dell'antica, importante mulattiera restano intatte alcune decine di metri, nel resto del percorso i muretti sono franati, i cespugli hanno invaso il sentiero, addirittura ci sono alberi che salgono dall'antica sede stradale.

Ma se arrivando dalla Ripa Alta di Gromo, dalla «Cà di Bernarcc», non ci si perde e si segue l'antica mulattiera, si arriva nel fitto del bosco e nell'ombra che si mescola ai raggi di luce e si incontrano le pietre del villaggio scomparso.

Muri a secco, perimetri e basi di edifici, quelli che sembrano resti di una fortificazione, delle spianate che probabilmente erano degli «Aràl», luoghi dove si allestivano quei piccoli forni chiamati «poiàt», un metodo per preparare il carbone di legna.

Enzo Valenti abita a Gromo, è collaboratore dell'Eco, appassionato della natura e della storia dell'Alta Valle Seriana. Spiega: «I ruderi si sviluppano in questa zona del bosco dove il pendio è più lieve. Nessuno sa di che cosa si tratti, non sono riuscito a recuperare informazioni su questo luogo, né negli archivi, né sulle antiche mappe. Eppure era un insediamento importante. I ruderi sono lassù da tempo, documentati dalla memoria delle persone più vecchie del paese, attraverso i ricordi arriviamo verso la fine dell'Ottocento: possiamo affermare che in quel tempo il villaggio era già in rovina. Oggi restano terrapieni, pareti perimetrali, grandi muri a secco, la mulattiera delimitata dai muretti, una mulattiera di quelle importanti. Negli anni scorsi due archeologi avevano fatto una visita, un piccolo assaggio di scavo, venne trovato un focolare con ancora ceneri, carboni. Ma una ricerca seria richiede un finanziamento, e i fondi non abbondano».

Il paesino scomparso si trova in comune di Gandellino, sebbene a pochi passi dal confine con il territorio di Gromo. E proprio da Gromo, dalla Ripa Alta, parte il sentiero per arrivarci. Si tratta dell'antica mulattiera, realizzata forse al tempo dei Romani, che arrivava al Passo di Portula e scendeva in Val Brembana, verso il rifugio Calvi. Era un'antica via dei metalli poiché in questa zona si trovavano diverse miniere, di ferro e - sembra - d'argento.

Oggi per raggiungere la Cà di Bernarcc e la frazione Maschere è possibile prendere dalla Ripa di Gromo anche una stretta strada asfaltata, realizzata negli ultimi anni. Non la consigliamo, anche perché poi ci sono problemi di parcheggio. Meglio lasciare l'auto alla Ripa Alta e salire con la mulattiera di Portula. Si supera la cascina Burlandi, si arriva alla Cà di Bernarcc dopo una mezz'oretta scarsa, qui si incontra una trattoria dai sapori antichi.

È una casa massiccia, un tempo sede di un corpo di guardia veneto, con una fontana sulla quale si legge un numero inciso: CCCCXXIII, forse sta per l'anno 1423, sebbene manchi all'appello la M che indica il 1000. Dalla Cà di Bernarcc, luogo di nascita del vescovo Morstabilini, si prende un sentiero sulla destra che sfiora l'antica chiesa della Trinità e quindi in dieci minuti eccoci alla frazione Maschere, un pugno di case oggi abitate da una sola famiglia.

Duecento metri prima di arrivare alle Maschere, si imbocca un sentiero sulla sinistra, in salita fino alla baita di Predos, in fondo al prato c'è una sorgente superata la quale si piega ancora a sinistra e si percorre l'antica mulattiera che porta al villaggio. Ci si inoltra nel bosco per un quarto d'ora, un bosco di faggi e abeti, si cammina su un tappeto di frasche secche perché ormai nessuno più pulisce il bosco. Ci sono ramaglie, alberi caduti e abbandonati. Il bosco si fa un po' più rado, il fondo d'improvviso appare in minore pendenza e liscio, come se qualcuno avesse eliminato i sassi di cui il terreno è disseminato.

Si cominciano a vedere i muretti in pietra, se ne comprende la regolarità. Un quadrato formato da mozziconi di muri, pietre disposte in forma di semicerchio, un terrapieno e una sorta di muraglia che fa pensare a un fortilizio ormai perduto. Gli alberi crescono in quelli che un tempo erano gli interni degli edifici, le radici avvolgono le pietre. I tronchi dei faggi hanno lo stesso colore della pietra. Il silenzio è accompagnato soltanto dal suono degli scarponi sulle foglie secche. In un angolo di questi ruderi, tra due pareti, si vede quello che deve essere stato un focolare.

Spiega Valenti: «Non sappiamo che cosa ci fosse qui, non sappiamo perché quella mulattiera fosse così larga e ben costruita. Alle Maschere abitava una signora, che oggi avrebbe 96 anni, è morta pochi anni fa. Lei raccontava che la mulattiera portava al Pià di Mercacc e che quando lei era una bambina, negli anni Venti, il bosco era meno fitto e c'era più prato. Ma gli edifici erano già in rovina. Diceva che si parlava di una chiesa e che qualcuno diceva che seppellita da qualche parte doveva trovarsi ancora la campana. La campana non è mai stata trovata... ci vorrebbero un'indagine, degli scavi...».

Circa duecento metri al di sopra si trova lo Spiazzo della Madonna, un antico pascolo, oggi invaso dagli alberi. A dieci minuti di cammino si apre la zona del Nedulo, con i piccoli imbocchi delle miniere antiche. Una leggenda racconta che, allo Spiazzo della Madonna, in alcune notti di luna piena, una giovane donna vestita di bianco cammina sull'erba...

Paolo Aresi

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