È morto lo scrittore Bevilacqua
Best seller molto suoi titoli

Scrittore di grande popolarità, anche molto tradotto all'estero, Alberto Bevilacqua, è scomparso lunedì 9 settembre a Roma alla vigilia dei suoi 80 anni, essendo nato il 27 giugno 1934. Assai amato dai suoi lettori che hanno fatto dei best seller di vari suoi titoli.

Scrittore di grande popolarità, anche molto tradotto all'estero, Alberto Bevilacqua, è scomparso lunedì 9 settembre a Roma alla vigilia dei suoi 80 anni, essendo nato il 27 giugno 1934. Assai amato dai suoi lettori che hanno fatto dei best seller di vari suoi titoli, è oggi considerato un figura significativa del nostro mondo letterario, autore di molti volumi di narrativa e poesia tra cui alcuni di indubbio interesse.

Però ha avuto spesso, all'inizio, rapporti conflittuali con l'establishment intellettuale e letterario, avendo cominciato a scrivere romanzi di critico e colorito realismo di costume negli anni della nascita della neoavanguardia del Gruppo '63 (che definiva «Liale» Cassola e Bassani), avendo avuto subito successo anche nel cinema, come regista, e arrivato a concorrere e vincere tra aspre polemiche lo Strega (con «L'occhio del gatto») in un anno particolare come il 1968, due anni dopo aver già vinto il Campiello con «Questa specie di amore».

Del resto Bevilacqua è stato autore che, maturando e crescendo come scrittore, ha passato varie fasi, da quella degli inizi, che parte a metà anni '60 e lo fa accumunare a una linea narrativa che potrebbe andare tra Giovanni Arpino e Piero Chiara, i cui primi titoli furono «Una città in amore» (riscritto nel 1988) e «La califfa», suo primo grande successo, che tradusse lui stesso in film nel 1970, a una scrittura di natura quasi onirica, di un realismo fantastico nella sua attenzione all'inconscio e a un extra sentire (e c'è chi lo ha imparentato allora con Malerba o un certo Siciliano, ma con in più un qualcosa di iniziatico) da un bel romanzo, uno dei suoi migliori, come «Umana avventura» a gran parte della produzione anni '80 e '90, sino ai libri di narrativa autobiografica e i versi dedicati al rapporto con la madre.

Gli inizi erano stati però diversi, come si è scoperto solo nel 2000 con la pubblicazione integrale del suo primo, bel romanzo «La polvere sull'erba», dai connotati fluviali e un certo espressionismo emotivo delle situazioni, rimasto in un cassetto per i suoi temi scandalosi (Sciascia, confessandosi timoroso, nel 1955 ne aveva pubblicati solo dei brani preparatori) ovvero gli ammazzamenti nell'immediato dopoguerra (1944-48) tra vendicatori e giustizieri nelle file di ex partigiani e fascisti, in quello che veniva definito il triangolo rosso, tra Parma e quella «amazzonia del delta del Po».

Un tema forte, difficile, tornato d'attualità con le distorsioni del recente revisionismo storico, che il giovane scrittore (aveva 21 anni) affrontò non leggendo i fatti attraverso gli schemi interpretativi del fascismo o dell'antifascismo, ma facendo nascere l'azione dal vento di follia creato dal peso delle eccezionali circostanze di quegli anni caldissimi, vissuti in bilico tra realtà e irrealtà.

I luoghi, ma soprattutto la sua Parma (a cominciare dal glorioso e antifascista Oltretorrente), di cui poi diverrà contraltare Roma, sono del resto il tema che percorre tutta la sua opera, che indaga, racconta, fantastica, immagina, svela, quella città, emblematica dell'Italia di quegli anni, dal boom economico in poi, dalla vita gaudente alle storie noir di «Gialloparma» a fine anni '90, in genere attraverso il racconto di complesse, vitali, sensuali psicologie femminili.

Esemplare resta «La Califfa», ovvero Irene Corsini, che nel suo vitalistico vibrare tra fierezze e abbandoni, inaugura la galleria di questi grandi personaggi femminili, mentre l'industriale Annibale Doberdò incarna un'emblematica figura dell'imprenditore di provincia anni '60. dalla donna all'amore, come momento di incontro e verità, di illusione e fallimento di una vita ma uno dei romanzi più importanti del decennio, il passo è breve e quasi un manifesto e un ritratto dello spaesamento e delle necessità di nuovi valori alla vigilia degli anni della contestazione è «Questa specie d'amore», che è tutto una confessione epistolare di Federico alla moglie Giovanna per ricostruire e analizzare le ragioni della loro crisi, che va ben al di là del rapporto di coppia.

Dal vitalismo che nasce dal contesto e dalla forza di certe situazioni particolari, all'analisi dell'angoscia, lo spaesamento, l'alienazione che torturano i suoi protagonisti in un'Italia ormai cresciuta, sino all'attenzione autobiografica e un maggiore impegno nei confronti della scrittura poetica (nel 2007 raccolta in un'Oscar Mondadori), Bevilacqua e i suoi libri rappresentano una testimonianza letteraria e di costume articolata e approfondita, che si è espressa anche nelle opere cinematografiche (da «La califfa» a «Questa specie di amore» David di Donatello come miglior film, da «Attenti al buffone» a «La donna delle meraviglie» o «Gialloparma»).

Paolo Petroni

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Bevilacqua è morto nella clinica romana Mafalda alle 10,10 per un arresto cardiocircolatorio. Lo riferisce la clinica di Villa Mafalda. Bevilacqua - ha riferito la direzione sanitaria della struttura - era costantemente monitorato da un'équipe medica ed era ricoverato dall'ottobre scorso per una grave malattia cronica". Dalla clinica si apprende che nelle prossime ore potrebbe essere allestita la camera ardente e al momento non sarebbe prevista un'autopsia.

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