Al Palasharp i Lynyrd Skynyrd
leggenda del «rock sudista»

Orgoglio e maledizione. È racchiusa in due parole l’avventura quasi quarantennale dei Lynyrd Skynyrd, la band per eccellenza, per non dire la leggenda, del southern rock americano. Mercoledì 3 giugno tornano in Italia dopo dodici anni per un’unica data al Palasharp di Milano. Già oltre 6.500 i biglietti venduti e ci si avvia rapidamente al tutto esaurito intorno a quota novemila, con i fan già in fibrillazione sul web: «Aspettavamo questo momento da una vita».

L’orgoglio sudista Orgoglio e maledizione continuano ad accompagnare il gruppo di Jacksonville, Florida, come un destino ineluttabile. L’orgoglio è quello di portabandiera del sound sudista, una pozione musicale che mescola blues, hard rock e country ai valori di una terra legata alle tradizioni (Dio, patria – ma sotto il vessillo confederato che sventolano sul palco – famiglia e lavoro, però anche donne, bevute e scazzottate), a una mentalità conservatrice (e politicamente repubblicana), che, complice la vita on the road e la libertà che la pervade, riesce a convivere con lo spirito ribelle e i capelli lunghi. Gli stessi che proibiva l’insegnante di ginnastica dei nostri eroi al tempo del liceo: tale Leonard Skinner, che suo malgrado ispirò il nome dei Lynyrd Skynyrd, una storpiatura, con deliberata irriverenza, della sua identità. L’orgoglio è intonare ancora oggi uno degli inni più famosi della storia del rock, quella «Sweet Home Alabama» nata nel ’74 come risposta piccata a «Southern Man», la canzone del ’70 in cui Neil Young, canadese, uomo del Nord e di idee progressiste, criticava il razzismo degli stati del Sud (come poi nella sua «Alabama» di due anni dopo). L’Alabama – cantano invece i Lynyrd nella loro accorata difesa – è la terra dove torniamo a vedere i nostri cari, è la terra che ci manca ed è un peccato che «mister Young» debba umiliarla. La prima strofa si conclude così: «Bene, spero che Neil Young si ricorderà che un uomo del Sud non ha bisogno di lui in ogni caso». Non ci crederete ma Neil Young e la band sudista, nonostante questa schermaglia, si apprezzavano sotto il profilo musicale e il canadese, fiero di essere citato nella canzone, arrivò ad eseguire «Sweet Home Alabama» dal vivo, mentre Ronnie Van Zant, l’allora cantante e leader dei Lynyrd, spesso durante i concerti indossava una maglietta con il volto di Neil Young. Si racconta che avevano anche pensato di fare uno spettacolo insieme ma non fu mai organizzato. Retroscena a parte, «Sweet Home Alabama» travalica l’etichetta di manifesto del rock sudista e diventa un hit senza tempo: già nelle colonne sonore di diversi film («Forrest Gump» su tutti) in questi giorni (e ormai dall’estate scorsa) risuona ancora nelle radio la rivisitazione campionata (e con testo diverso) di Kid Rock (nel 2003 ospite dei Lynyrd in «Vicious Cycle») sotto il titolo «All Summer Long». Simpatica, ma l’originale è epico e non c’è quindi bisogno di spiegare la differenza. L’Alabama dolce casa (valsa alla band il titolo onorario di colonnelli dell’Alabama State Militia) non è l’unico marchio di fabbrica dei Lynyrd: la scaletta dei loro concerti è una cavalcata di classici immortali, come «Simple Man» (1973) o la poetica «Free Bird» (1973) dedicata alla memoria di Duane Allman, il chitarrista fondatore della mitica Allman Brothers Band. È il brano che in più di un’occasione ha suggellato le loro esibizioni dal vivo, con l’esaltante maratona finale delle tre chitarre, uno schieramento distintivo del gruppo. Probabilmente succederà anche al Palasharp, dove accorreranno da tutta Italia e, come per tutti gli eventi rock milanesi, non saranno pochi neppure da Bergamo.

La maledizione dei lutti Non esiste al mondo una band più bersagliata dai lutti. La storia dei Lynyrd è costellata di disgrazie e morti più o meno annunciate, costringendoli ad avvicendamenti continui. L’unico superstite della formazione originaria è il chitarrista Gary Rossington, miracolosamente sopravvissuto all’incidente aereo che il 20 ottobre 1977 dà il via alla macabra catena: il Convair 240 che li sta portando a Baton Rouge, in Louisiana, precipita nelle paludi del Mississippi, a Gillsburg, e oltre all’equipaggio perdono la vita Ronnie Van Zant (da ventidue anni rimpiazzato dal fratello Johnny, che ha un timbro di voce simile) il chitarrista e cantante Steve Gaines e la corista Cassie Gaines. Nel 1989, stroncato da una polmonite e già provato da uno schianto in auto di tre anni prima che l’aveva paralizzato, si spegne il chitarrista Allen Collins. Nel 2001 lo segue il bassista Leon Wilkeson, che aveva il fegato malato. Quest’anno nel giro di pochi mesi se ne sono andati il tastierista Billy Powell (a gennaio, per infarto) e il bassista Donald Evans detto Ean (l’8 maggio, per un tumore). Ma Johnny Van Zant invita a tener duro e, quasi ad esorcizzare il tragico destino dei Lynyrd, manda un messaggio di speranza al pubblico: «Ad ogni colpo mortale abbiamo saputo ripartire dalla musica, che è una grande guaritrice». Dal 2006 sono entrati a far parte della Rock and Roll of Fame, l’olimpo del rock. Lì, e nel cuore dei fan, non c’è morte che li possa più uccidere.
Andrea Benigni

Orari e biglietti Mercoledì 3 giugno i cancelli del Palasharp di Milano (via Sant’Elia 33, zona San Siro) verranno aperti alle 18,30, il concerto inizierà alle 21 (preceduto alle 20 dal gruppo spalla, gli Shinedown, che arrivano da Jacksonville come i Lynyrd Skynyrd). Il biglietto, posto unico, costa 45 euro più diritti di prevendita e si acquista dal circuito Ticket One (www.ticketone.it). Infoline: 055-5520575, email: [email protected], www.liveinitaly.com.

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