Sergio Cammariere, nuovo album
«Carovane» di note e sentimenti

Il suono se l’è andato a cercare in posti lontani; non a caso ha intitolato il suo nuovo album, uscito venerdì 30 ottobre, «Carovane». Ma Sergio Cammariere il senso del movimento lo intende in modo peculiare: «Camminare in questo mondo e sulla strada della vita, senza perdersi nel caos, cercando la vera essenza delle cose».

Il «cantautore piccolino» pensa alto e cambia un po’ lo stile, anzi no, lo dilata, lo arricchisce musicalmente. L’idea del viaggio è sottile, metaforica. «Quando Roberto Kunstler mi ha proposto il testo della canzone che dà il titolo all’album, ho pensato che fosse la cosa giusta per aprirlo. Le parole evocano immagini antiche: ci sono carovane di note, di pensieri, di storie, di idee, di sentimenti. E tutto si mescola in questo universo un po’ onirico e al tempo reale. Avevo voglia di scrivere un brano ciclico, una forma armonica diversa, componendo in una tonalità maggiore, solare, ma contemporaneamente aperta, come se non chiedesse mai».

Perché il viaggio non finisce mai. «Certo, perché siamo carovane di generazioni, senza luogo e senza tempo. C’è un riferimento al primo libro di Paulo Coelho, “L’alchimista”. Il protagonista, Santiago, intraprende un viaggio avventuroso, simbolico, attraverso l’Africa, sino alle piramidi, e durante il viaggio incontra il vecchio alchimista e grazie a lui, alla sua sapienza, arriverà alla conoscenza di sé. E’ un magma complesso, questa canzone, con una musica che sa di polvere, di aria, di mare, di spazi aperti. Sa di migrazione. E’ il brano che rappresenta tutto l’album».

In effetti sembra che il disco giri intorno ad un’idea di fondo. «Alla fine il concetto ritorna sino alla “Rosa filosofale”, un giro armonico diverso che non ci si aspetta da Cammariere, con il sitar, le tablas, altri strumenti esotici».

E’ andato alla ricerca di nuove sonorità? «Avevo voglia di arrangiare tutto il materiale e di arricchirlo. Due anni di lavoro, nove mesi di studio, e la scoperta di suoni nuovi per me. Strada facendo ho incontrato la world music, la contaminazione. Ma ho inserito anche la chitarra elettrica, strumento che non avevo mai usato. Il riferimento alla nostra musica cantautorale, resta, ma mi piaceva che l’orizzonte si aprisse un po’. Del resto noi tutti abbiamo nel cuore album come “Anime salve” di Fabrizio De André, credo uno dei capolavori del Novecento. Lui è stato il primo cantautore italiano ad inserire suoni etnici nei suoi pensieri».

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