Ascanio Celestini al «Donizetti» con una «Fabbrica» di solidarietà

«Fabbrica», lo spettacolo che Ascanio Celestini porterà in scena mercoledì 4 maggio al teatro Donizetti (inizio 20.30), è a favore dell’Africa: pensa alla solidarietà e lo fa aiutando l’associazione Nord-Sud Onlus in una raccolta di fondi. Il ricavato della vendita dei biglietti sarà infatti devoluto alle iniziative di Nord Sud a favore dei progetti di sviluppo in Africa.

I biglietti saranno messi in vendita:

· alla biglietteria del teatro Donizetti dalle 13 alle 20.30;

· nella sede di Nord Sud in via san Giovanni Bosco 18/a a Bergamo dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18.

Costo del biglietto: 11 euro (ridotto studenti 8 euro).

Lo spettacolo, in cartellone, come fuori abbonamento nella Rassegna Altri Percorsi, è stato ideato e scritto da Ascanio Celestini che ha curato anche la regia.

È un racconto teatrale in forma di lettera che si basa su un meticoloso lavoro di ricerca condotto da Celestini in questi anni. È lui che dà voce ad un operaio che racconta la storia del capoforno Fausto e del padre e del nonno di lui. E racconta questa storia attraverso una lettera che l’operaio scrive alla madre alla fine della seconda guerra mondiale.

«Cara madre vi scrivo questa lettera che è l’ultima lettera che vi scrivo. Ve ne ho scritta una al giorno per tanti anni. Voi mi dicevate scrivi scrivi e io ho scritto per più di cinquant’anni. Una lettera al giorno per cinquant’anni. Solo una volta non vi scrissi, cara madre, e voi mi diceste perché non hai scritto? Che io vi dissi che non avevo potuto scrivere per via dell’ospedale. Mi diceste: prima o poi me la scrivi questa lettera? Che mica puoi saltarmi proprio un giorno nel mentre che mi hai sempre scritto tutti i giorni. Io vi dissi che sì, prima o poi ve la scrivevo la lettera. E’ passato più di cinquant’anni e adesso ve la scrivo la lettera che manca. Fate conto che oggi è il 17 marzo di quel 1949 che non vi ho scritto. E io riprendo il filo del giorno prima. Dal 16 marzo. Cara madre il 16 marzo di quel ’49 è il primo giorno che entro in fabbrica».

Scrivendo alla madre dopo anni di duro lavoro l’operaio racconta non solo la storia di Fausto e della sua famiglia ma anche la storia di una fabbrica che ha conosciuto diverse età: quella dell’aristocrazia operaia (con operai indispensabili alla produzione e quindi non licenziabili) e quella degli storpi (dove gli unici operai a non essere licenziabili sono quelli con «la disgrazia»).

Perché «l’antica fabbrica - commenta Celestini - aveva bisogno di operai d’acciaio e i loro nomi erano Libero, Veraspiritanova, Guerriero. Ma la fabbrica ha conosciuto anche l’aristocrazia operaia con gli operai anarchici e comunisti che neanche il fascismo licenziava perché essi si rendevano indispensabili alla produzione di guerra. Ma l’età contemporanea ha bisogno di una fabbrica senza operai. Una fabbrica vuota dove gli unici operai che la abitano sono quelli che la fabbrica non riesce a cacciare via. I deformi, quelli che nella fabbrica hanno trovato la disgrazia. Quelli che hanno sposato la fabbrica lasciandole una parte del loro corpo, delle loro storie e della loro identità».

(02/05/2005)

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