Da Castelli Calepio a Perth, assunto dal governo australiano

C’è stato un periodo – non molto tempo fa, ma che ora, dopo il Covid, sembra un remoto passato – in cui migliaia di giovani italiani e anche bergamaschi partivano per l’Australia. Ci restavano sei mesi o un anno: raccoglievano frutta e verdura, lavoravano nella ristorazione oppure come muratori. Quasi tutti sono tornati in Italia dopo un’esperienza di vita che li ha arricchiti come persone e ha consentito loro di imparare bene l’inglese. Stefano Malzanni, però, non è tra questi. Partito da Castelli Calepio nell’ottobre 2014, lui nel Paese dei canguri ci è rimasto, affrontando con determinazione le sfide dei primi anni e ottenendo poi un lavoro nel Governo, pur continuando a inseguire la passione della capoeira. E dopo anni con un visto permanente, presto diventerà ufficialmente cittadino australiano.

Già dalla meta scelta in origine molti suoi amici avevano capito che i suoi obiettivi erano a lungo termine. Non a Sydney, né a Melbourne, ma a Perth, la grande città della costa occidentale del Paese, a diverse ore di volo dalle zone più densamente abitate. «Prima di partire mi sono documentato molto e alla fine ho dato retta agli ottimi feedback che mi erano stati dati su Perth, che infatti non mi ha deluso – spiega il 34enne –. All’epoca avevo 27 anni e facevo l’istruttore fitness e nuoto. Stavo bene a Bergamo, ma sentivo che volevo provare una nuova esperienza. Inizialmente tutto è nato parlando col mio migliore amico, col quale avremmo voluto viaggiare qualche mese per poi tornare in Italia e stabilizzarci. Poi il progetto non è andato in porto, ma in me ormai era maturato il desiderio di partire, magari anche solo per qualche mese, per l’Australia. Allora sono venuto qui da solo e mentre il tempo trascorreva mi sono costruito una nuova vita da cui ormai non tornerò indietro. All’inizio ero pieno di dubbi, del resto in Italia avevo (e ho) dei forti legami; sapevo che mi sarei dovuto ambientare, ma non sono partito come uno sprovveduto. Ho visto tantissimi italiani arrivare qui senza un minimo di preparazione: non parlavano inglese, non conoscevano la cultura del luogo, né la geografia. Nessuno di questi è durato. Io già conoscevo l’inglese e ho migliorato la fluency, ma avevo anche studiato molto sulla storia e sul luogo di cui sarei stato ospite».

Appena arrivato Stefano ha cominciato come tutti con lavoretti per sbarcare il lunario. Prima cameriere e pizzaiolo, poi operaio per recinzioni e pannelli per eventi. Nel frattempo si è sistemato col visto e ha preso la patente del camion, ma il lavoro fisico non gli consentiva di praticare la capoeira come di consueto. Un giorno ha trovato lavoro come magazziniere per la società della ambulanze locali, ma dopo qualche mese i suoi principali si sono accorti che quel ragazzo valeva molto di più. E così è stato mandato in ufficio, dove ha imparato il mestiere di controllore di inventario. Ma Stefano non è rimasto fermo: ha fatto due anni di corsi di specializzazione in analisi dati e informatica ed è arrivata la grande occasione.

«Ho letto una proposta di lavoro del Dipartimento della Sanità del Western Australia e ho fatto domanda – continua il bergamasco –. All’inizio non è successo nulla, ma dopo tre mesi mi hanno richiamato e assunto come ingegnere informatico per il collegamento dati della Sanità. E col tempo sono riuscito anche a coltivare l’amore per la capoeira: adesso ho una piccola attività, insegno a gruppi di bambini, adolescenti e adulti questa disciplina, e sono felice. Qui ho conosciuto la mia ragazza Lynn, australiana con origini di Singapore, con cui sto ormai da quasi sette anni».

In Italia vorrebbe tornare la prossima estate, quando si spera che la pandemia sia finalmente un terribile ma remoto ricordo. Ora preferisce sfruttare il tempo libero esplorando l’Australia occidentale oppure, per soggiorni più lunghi, le altre zone del Paese. Uno Stato grande come un Continente che fa del cosmopolitismo e della varietà nella composizione etnica un suo punto di forza, pur con lo storico problema degli aborigeni, che però da circa trent’anni sono fortunatamente riconosciuti parte integrante della comunità australiana. Stefano vive a dieci chilometri dal centro cittadino ed è stato lui stesso a sceglierlo. Del resto, non è mai stato un amante del caos metropolitano.

E qui si vedono le radici bergamasche. «Fare paragoni con l’Italia è difficile: sono due mondi agli antipodi sotto molti aspetti – conclude Stefano –. La bellezza che trovi a Bergamo non è rintracciabile in una città che ha poco più di duecento anni, ma ci sono spiagge straordinarie, skyline suggestivi, natura selvaggia e incontaminata. L’ultima volta sono tornato a Castelli Calepio a fine 2019 e poi, a causa del Covid, non sono più venuto. Per fortuna qui la pandemia è stata ben controllata, ma le immagini di Bergamo e in generale della Lombardia sono giunte anche qui, lasciandomi grande apprensione. Sento spesso mia madre e mio fratello, oltre che i miei amici con cui ho un gruppo WhatsApp: una videochiamata alla settimana è doverosa! Il livello di socializzazione in Italia è più alto, mentre qui bisogna imparare un po’ più a farsi gli affari propri. Ma non tornerei mai indietro: mi sono impegnato, ho sudato e faticato. E adesso, rimanendo naturalmente anche italiano, sto per diventare cittadino australiano, pur con il limite di non poter diventare presidente dell’Australia (ride, ndr)».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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