La riforma che stana i furbetti dell’Isee
I nullatenenti scendono dal 70% al 14%

Dall’autocertificazione ai controlli sistematici attraverso database e incrocio di dati con i registri di più enti. La riforma dell’Isee sembra aver colpito nel segno.

Lo dimostrano i dati: gli italiani che per ottenere sconti fiscali dichiarano di possedere ’nulla’ scendono drasticamente e passano dal 70% al 14% nel 2015. Soddisfatto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti che parla ora di una situazione più equa. Il 2015 - ricorda il ministero - è stato il primo anno di applicazione del nuovo Isee. Le famiglie che hanno presentato una Dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) a fini Isee sono state 4 milioni e 165 mila, per un totale di oltre 13 milioni di persone, il 21% della popolazione residente. Rispetto al passato «l’indicatore è molto più veritiero; i redditi non sono più autodichiarati, ma rilevati direttamente presso l’anagrafe tributaria, mentre con riferimento al patrimonio mobiliare i controlli hanno risultati eclatanti: le DSU con patrimonio mobiliare nullo passano da quasi il 70% al 14%; nel Mezzogiorno, in particolare, si è passati da quasi il 90% al 20%. Rispetto al passato, la distribuzione territoriale della “popolazione Isee” è molto più omogenea: fatta eccezione per le Province autonome di Trento e Bolzano, in tutte le altre regioni la popolazione Isee costituisce almeno un settimo e non più di un terzo del totale. È un segno tangibile - dice il ministero - di un utilizzo più appropriato dello strumento, che andrebbe utilizzato solo a fronte della effettiva richiesta di prestazioni sociali agevolate: infatti, non si registrano più anomalie quali quelle di regioni in cui, in presenza di una offerta di servizi molto bassa, oltre il 60% della popolazione era coperto da Isee».

«L’indicatore - spiega ancora il ministero - è oggi più equo, nel senso di una maggiore selettività in base al patrimonio. Infatti, a parità di valori dichiarati, le nuove regole hanno ridotto i valori reddituali (in media, da 19 mila euro per famiglia a 17 mila) e incrementato quelli patrimoniali (da 23 mila a 35 mila euro) producendosi un Ise (l’indicatore prima dell’applicazione della scala di equivalenza) sostanzialmente immutato (intorno ai 24 mila euro). Ne deriva che il peso del patrimonio nell’Isee, a parità di valore complessivo, è passato da meno del 15% del vecchio Isee a più del 20% del nuovo».

«Siamo di fronte ad un Isee più equo e più veritiero. - commenta Poletti - L’impianto di controlli ex-ante sulla fedeltà delle dichiarazioni è chiaramente un successo, forse inatteso in queste proporzioni: le famiglie che oggi non dichiarano conti correnti e altri depositi sono una piccola (e realistica) minoranza a fronte di comportamenti non corretti largamente diffusi con la precedente disciplina. E’ anche questo un segno di equità, che facilita l’accesso alle prestazioni a chi è davvero più bisognoso. Equità confermata anche dal fatto che la ’ricchezza’ patrimoniale delle famiglie oggi pesa di più nell’indicatore e i redditi da lavoro di meno. La riforma quindi sembra stia perseguendo gli obiettivi che ci si era prefissati: maggiore credibilità delle dichiarazioni, maggiore selettività dell’indicatore legata al patrimonio, maggiore attenzione ai più fragili».

© RIPRODUZIONE RISERVATA