America divisa
Invito all’unità

Quando tre anni fa la Civiltà Cattolica, in un articolo firmato dal suo direttore padre Antonio Spadaro e da Marcelo Figueroa, pastore presbiteriano e direttore dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano, indicava nell’ «ecumenismo dell’odio» la traiettoria tragica che stava assumendo la crisi religiosa negli Stati Uniti ad alcuni sembrò un’esagerazione. Donald Trump era entrato alla Casa Bianca da appena un anno e i cristiani americani, cattolici ed evangelical, già si affrontavano sulle barricate di una guerra spirituale che avrebbe ridotto la propria responsabilità ad uno scontro sull’inclusione, la pace, l’incontro, la costruzione di ponti, insomma i fondamentali della democrazia e dell’insegnamento di Papa Francesco.

Cosa ha portato il conflitto lo si è visto il 6 gennaio nell’assalto a Capitol Hill, ultimo drammatico capitolo di una crisi politica, morale e religiosa degli Stati Uniti. Ieri all’Angelus Papa Francesco, bersaglio in tutti gli anni della presidenza Trump degli allineamenti politico-religiosi risultati dalla saldatura dei fondamentalisti evangelical e degli integralisti cattolici, è intervenuto con parole severe e dolorose per richiamare proprio alla «responsabilità» di tutti, popolazione e autorità. Gli Stati Uniti sono una nazione divisa che il 6 gennaio è diventata anche cattiva con un gesto estremo, ma prevedibile per via della propaganda dei circoli suprematisti, sobillati e garantiti dal «Comandante in capo». E la divisione percorre come una scarica elettrica anche la Chiesa americana e non solo.

L’endorsement a favore di Trump «difensor fidei» da parte del cardinale australiano George Pell pochi giorni prima dell’assalto al Campidoglio, è solo la spia di un consenso ben più ampio e di una interpretazione poco conciliare della libertà religiosa e dell’esercizio della responsabilità come descritte nella Gaudium et Spes. Non c’è infatti solo l’integralismo cattolico rappresentato dall’ex nunzio negli Usa, il vescovo Carlo Maria Viganò, con le sue folli analisi sul pontificato di Bergoglio, di cui era arrivato a chiedere le dimissioni. C’è un cattolicesimo, in Usa e altrove, che ha sostenuto Trump e si è opposto a Papa Francesco. Negli Stati Uniti le divisioni sono ancora più drammatiche e le reazioni all’assalto del 6 gennaio per questo motivo sono state tiepide. Non è solo un problema di simpatie politiche per Biden o per Trump. È una divisione sulle dinamiche democratiche e sul ruolo dei cattolici, anzi dei credenti in generale, in una democrazia. Qual è la loro responsabilità? Quella di costruire fortezze identitarie neo-costantiniane oppure ponti, dialogo ed evitare le polarizzazioni? Bergoglio un anno prima dell’elezione di Donald Trump spiegò che «una persona che pensa solo a fare muri e non ponti non è cristiana».

Da allora il contrappunto all’interno della Chiesa americana ha scavato enormi fossati. Su Biden, favorevole all’aborto, per decidere se dare o no a lui la comunione i vescovi Usa hanno nominato addirittura una commissione come se il problema non fosse per nulla Trump. Di fronte all’attacco a Capitol Hill la voce dei vescovi americani si è limitata a tre tweet e il Papa ha dovuto farsi sentire con un invito a riscoprire la passione per la democrazia e a rendersi conto che la strada dei fanatismi è incompatibile con essa. Non è una scelta a favore di Biden e contro Trump. Ed è un invito anche alla Chiesa americana a ritrovare unità sulle parole del Concilio riguardo alla politica e al bene comune in una nazione troppo consumata dalla rabbia con una coscienza civica e religiosa in declino.

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