Antipolitica, se trionfo
e tramonto coincidono

Tutti sapevano, sapeva anche il governo, che la ripresa dell’attività politica in autunno non sarebbe stata una passeggiata, ma una corsa a ostacoli, e con ostacoli a misura di massi, difficili da sormontare. Il distacco incombente di una frana sociale con la fine del blocco dei licenziamenti. La prova estenuante di predisporre il piano di interventi per ottenere i 200 miliardi del Recovery Plan. La riapertura a dir poco incerta delle scuole, chiuse da marzo: carenza di personale, banchi insufficienti e distanziamenti impossibili. E ancora: il pericolo di subire un cappotto alle elezioni regionali di settembre. Per non dire del referendum abrogativo sulla riduzione dei seggi in Parlamento che vede l’armata giallo-rossa presentarsi alla prova non certo a ranghi serrati. A ben guardare, però, è questo il fronte dal quale il governo ha meno da temere.

Qualunque sia il verdetto, vincano i sì o i no, le ripercussioni sulla maggioranza non dovrebbero essere rovinose. Anzi, visto che con ogni probabilità saranno i sì a trionfare, paradossalmente potrebbe essere la prova del referendum l’unico, solido fattore di stabilizzazione del governo. La riduzione dei parlamentari, storica battaglia del M5s, se fosse sancita da un sostegno elettorale pieno consegnerebbe nelle sue mani un trofeo che potrebbe poi sventolare in faccia indistintamente a tutti, avversari e alleati.

Sfida depotenziata per le sorti del governo, non per questo il referendum rappresenta un passaggio insignificante nella vita politica del Paese. In gioco c’è infatti la conferma o meno del ruolo dominante occupato sino ad oggi dall’antipolitica. Sono più di trent’anni, dall’esplosione della «questione morale» con lo scandalo di Tangentopoli, che la politica, i partiti, la democrazia delegata sono sotto scacco. È da allora che è montata un’onda risultata così impetuosa da sommergere ogni voce dissenziente.

La narrazione, riuscita ben presto egemone, centrata su una diagnosi infausta della democrazia parlamentare non ha trovato contradditori in grado di contrastarla seriamente. La vulgata della politica ridotta a terreno di caccia riservato, anzi sequestrato dalla Casta è stata, bene o male, adottata da tutte le forze politiche. Magari non sono stati sottoscritti i suoi postulati fondanti. Il suo linguaggio, però, è stato adottato un po’ da tutti. Li ha mossi la speranza illusoria di riuscire a domare la bestia dell’antipolitica. Fatica inutile. Invece di essere ammansita, l’antipolitica è stata irrobustita. Massimo beneficiario il M5s. La riduzione delle «poltrone» è solo l’ultima, e forse la più identitaria, delle battaglie condotte dal Movimento.

C’è un dato, però, che fa sorgere il dubbio che questa prova di forza possa segnare un punto di svolta nella vita politica nazionale. Solo un anno fa il referendum abrogativo del numero dei parlamentari sarebbe stata una gara senza competitori. Non a caso, fino a ieri nessuna forza politica ha osato nemmeno esprimere riserve. Anzi si sono tutte, prima o poi, accodate ai Cinquestelle appoggiando senza fiatare il taglio delle poltrone. Il rianimarsi in questi giorni di voci critiche, nemmeno troppo isolate, gli allarmi lanciati sulle lesioni che un tale provvedimento arreca non solo alla funzionalità della democrazia, ma addirittura alla Costituzione «più bella del mondo» possono essere la campanella dell’ultimo giro per la giostra dell’antipolitica.

I sondaggi prefigurano a tutt’oggi un trionfo dei sì, ma un’eventuale significativa erosione del loro successo potrebbe essere il segnale che l’onda dell’antipolitica, se non si è ripiegata su se stessa, stia almeno perdendo forza, dopo un quarto di secolo e più di dilagamento inarrestabile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA