Enti pubblici ora i risultati

Alcuni giorni fa si è avuta comunicazione, da parte del Governo, che gli obiettivi fissati dall’Unione europea, erano stati raggiunti. E ciò comporta che l’Italia riceverà la prima tranche delle risorse messe a sua disposizione del Pnrr. Si tratta di un’ottima notizia per il nostro Paese, in una fase storica nella quale fattori di natura complessa convergono a rendere difficile trovare soluzione ai problemi da affrontare.

Il perdurare della presenza del virus Covid-19 – a dir meglio la pericolosa crescita dei contagi - si affianca ai problemi derivanti dalla guerra in Ucraina. Rischi per gli approvvigionamenti delle fonti energetiche e aumento dell’inflazione sono due variabili gravose per la popolazione, in primo luogo quella con redditi medio-bassi.

In tale delicato contesto il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr è importante sotto un duplice aspetto. Per il risultato in sé e per il fatto che esso dimostra che il nostro sistema amministrativo non è così malridotto come comunemente si afferma. Che esso soffra di gravi e croniche carenze è circostanza nota a tutti e quotidianamente avvertita. Ciò nonostante, si deve riconoscere che – se messe alla prova – le pubbliche amministrazioni sono in grado di rispondere in modo adeguato. Ma, soprattutto, i risultati raggiunti fanno sperare che esse riescano ad essere una risorsa fondamentale per la competitività del Paese.

L’esigenza di ammodernamento del sistema pubblico quale fattore imprescindibile per evitare arretramenti del livello di vita dei cittadini è stata sostenuta con chiarezza, fin dall’inizio, dal premier Draghi e dal ministro per la Pubblica amministrazione, Brunetta. Dati per scontati questi presupposti di responsabilità politica, resta da riflettere su quali siano i mali più gravi e quali le strade da intraprendere per cambiare marcia. In primo luogo occorre gestire con decisione sul ricambio generazionale in atto e sull’ammodernamento telematico.

Il sistema amministrativo italiano è «vecchio» sia per quanto riguarda l’età media dei dipendenti, sia sotto il profilo tecnologico. Le risorse messe a disposizione dell’Unione europea su questi due fronti sono cospicue. Occorre, quindi, che esse vengano spese con oculatezza. Il numero delle persone da inserire nel settore pubblico non è mai stato così elevato. Occorre, al riguardo, che i concorsi rispondano – per efficacia e cristallina chiarezza – agli obiettivi da perseguire: persone adeguatamente selezionate per fare ciò che serve in un’amministrazione gravata da troppi giuristi e povera di personale con carature tecniche di altra natura (informatici, ingegneri, statistici, ecc). Sulla questione vale la pena di sottolineare il radicale cambio di atteggiamento di Renato Brunetta.

Nella sua precedente esperienza di governo in questo settore egli aveva intrapreso – in special modo sui media – una feroce campagna contro i «fannulloni». Nell’attuale incarico da mesi insiste sul valore del lavoro pubblico. Naturalmente questa iniezione di fiducia non implica accettare e sopportare gli impiegati scarsamente produttivi o, peggio, fraudolenti. Su questo terreno sarebbe necessario riflettere sulla possibilità di un radicale ricambio dei vertici burocratici, dando spazio, al merito e non all’anzianità, all’intraprendenza piuttosto che al pedissequo richiamo al codicillo di una qualsivoglia norma. Servono efficienza organizzativa ed efficacia operativa. Occorre far funzionare bene con quotidiana ostinazione – come affermava quarant’anni orsono l’allora ministro Massimo Severo Giannini – gli uffici, reclutando i giovani migliori e fornendo formazione sul campo a coloro che non hanno un bagaglio di conoscenze tecnologiche adeguato. Senza commettere l’errore - fatto negli anni ’90 – di credere che bastino leggi di «riforma» per risolvere i problemi. Non servono altre leggi, servono altri risultati.

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