Fra Draghi e Conte
nessuna ostilità

Tanto tuonò che non piovve. L’incontro a Palazzo Chigi tra Mario Draghi e il suo predecessore Giuseppe Conte, in veste di co-leader del M5S, era stato annunciato come tempestoso, come una sorta di redde rationem tra il capo del governo e il movimento, colpito al cuore dalla riforma della giustizia con cui Marta Cartabia ha cancellato le norme del grillino Bonafede sulla prescrizione. Deputati e senatori in tumulto, chat infuocate, minacce di smarcamento dalla maggioranza, e lo stesso Conte che tuonava contro la «contro-riforma», subito ribattezzata dal «Fatto Quotidiano» di Marco Travaglio come il nuovo decreto «salva-ladri» di berlusconiana memoria. Insomma, c’erano tutte le premesse perché si arrivasse ad un aut aut a Draghi: o rispetti il partito di maggioranza relativa o saranno guai per il governo.

Nulla di tutto ciò. Dall’ora scarsa di colloquio Conte è uscito senza agitare la bandiera di guerra, anzi. Ha fatto sapere che Draghi è disposto ad accettare qualche piccola modifica al testo, molto circoscritta, da apportare in sede parlamentare senza che questo stravolga il testo «approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri» (dunque anche dai grillini) e senza allungare i tempi già stabiliti che devono portare l’approvazione della riforma in almeno uno dei due rami del Parlamento prima delle ferie estive.

Insomma, in poche settimane gli esperti grillini dovranno sfornare qualche emendamento che consenta di piantare una bandierina purché innocua. «Non si è parlato di voto di fiducia» ha detto Conte nella improvvisata conferenza stampa. Non se ne è parlato per la ragione che la semplice minaccia, trapelata da Palazzo Chigi, ha fatto fare all’avvocato tre passi indietro. E questo nonostante l’appoggio ricevuto da Enrico Letta disponibile a votare le modifiche al testo Cartabia. Una disponibilità che deve aver fatto irritare Draghi: «con il segretario del Pd non si era parlato di questo», è stata l’altra, piccata, voce uscita dalla presidenza del Consiglio.

Altro tema su cui Conte ha dovuto frenare: l’attacco al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, considerato dai grillini troppo tiepido nel gestire proprio la transizione. M5S e Pd gli avevano votato contro in commissione, e il professore se l’era presa moltissimo, sentendosi come chi cada in un agguato. «Pieno sostegno a Cingolani, nessuna trappola» è stata la dichiarazione di Conte. Fine delle ostilità. Anche perché nello stesso Pd la linea di Letta sta sollevando non pochi mugugni quando non aperte ostilità: il sostegno ai grillini sulla giustizia (contro Draghi e Cartabia), il voto sull’ecologia (contro Cingolani) e persino la timidezza manifestata dal segretario sul mistero che circonda la vaccinazione di Conte (contrapposta alla severa censura nei confronti di Salvini, altrettanto misterioso), sta allarmando capicorrente democratici come Franceschini e Guerini che temono un eccessivo schiacciamento sui Cinque Stelle come accadeva ai tempi di Nicola Zingaretti che considerava Conte «un punto di riferimento dei progressisti» da difendere a oltranza.

Letta sarà chiamato a dare una raddrizzata alla linea in tempi brevi, quantomeno dopo le elezioni nel collegio di Siena: il segretario democratico, rimasto fuori dal Parlamento, ora si candida nel capoluogo toscano e ha annunciato che, se dovesse perdere, si ritirerebbe - anche lui - dalla politica. Facile immaginare quanto l’appoggio dei grillini sia per lui assolutamente essenziale.

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