Il caso Bibbiano
Se paga l’affido

Il caso Bibbiano prende avvio da un’inchiesta della Procura di Reggio Emilia sotto il nome «Angeli e demoni», che richiama un film horror. Dieci bambini tra i 5 e 14 anni sarebbero stati sottratti ai genitori naturali sulla scorta di testimonianze e relazioni falsificate, per essere poi affidati ad altre famiglie che percepivano una somma mensile (prevista per legge). In base all’accusa, i minori erano costretti a ricordare fatti mai avvenuti. Gli indagati sono 29, tra assistenti sociali, il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti (Pd), gli ex sindaci di Montecchio Emilia e Cavriago, i terapeuti della onlus Hansel e Gretel di Moncalieri (Torino) ai quali erano stati affidati il servizio di psicoterapia e lucrosi corsi di formazione. Le accuse vanno dalla frode processuale all’abuso d’ufficio, fino alle lesioni sui minori. Claudio Foti, il responsabile della onlus, è la figura più controversa, per i suoi metodi utilizzati con i minori, basati su un approccio empatico ritenuto eccessivo.

La vicenda è finita subito in pasto alla politica, che l’ha cavalcata con una certa immaturità. M5S (non era ancora nato il governo rosso-giallo) e Lega hanno accusato il Partito democratico di voler insabbiare la vicenda. Il Pd è stato bollato come il «partito di Bibbiano». Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha istituito una «squadra speciale per la protezione dei bambini», mentre tanti politici hanno chiesto una commissione parlamentare sugli affidi, destando quindi sospetto su un intero sistema che invece funziona (in Italia sono 30 mila i minori in affido) e generalizzando. Certo, anche in passato ci sono stati casi diventati notizia (tre bambini sottratti a una famiglia nel Milanese perché i loro disegni potevano far pensare a violenze subite in famiglia: i tre minori furono poi restituiti ai genitori) ma si tratta appunto di casi.

La reazione emotiva della politica ha generato anche una nuova norma in materia, per emendare la legge 184 del 1983, approdata in commissione giustizia alla Camera. L’intento è buono: evitare altri casi Bibbiano e «limitare quanto più possibile l’allontanamento dei minori dalla propria famiglia d’origine» che era anche l’obiettivo peraltro della parziale riforma alla 184 approvata nel 2001. Il nuovo testo (prima firmataria Stefania Ascari, dei 5 Stelle) contiene però anche ingenuità e ingiustizie. Innanzitutto limita fortemente la discrezionalità del giudice minorile per «salvaguardare l’unità del nucleo familiare». Si ritiene più opportuno allontanare il genitore responsabile di maltrattamenti invece del bambino. Se proprio va sottratto, si privilegia l’accoglienza presso un parente entro il quarto grado o un conoscente di cui il minore si fida. Ineccepibile in linea teorica, sempre che parenti e conoscenti siano disponibili e abbiano le competenze educative e garanzie di cura verso un bambino che vive disorientamento e sofferenza. E chi è in grado di verificare queste condizioni? Sicuramente il giudice minorile la cui funzione si vorrebbe limitare. Giusto poi sostenere che il provvedimento d’allontanamento deve essere «eseguito da personale specializzato» ma ancora una volta non si indica chi.

La bozza di riforma prevede inoltre «la sospensione dell’esecuzione qualora il minore opponga resistenza o manifesti in modo evidente la volontà di non distaccarsi dai genitori». Indicazioni comprensibili, che però non tengono conto di alcune possibilità: come valutare i casi in cui il condizionamento psicologico verso il bambino è così pesante da rendergli impossibile il distacco anche di fronte a maltrattamenti palesi, come succede?

È invece incomprensibile e punitiva l’idea di eliminare ogni contributo pubblico per le comunità di tipo familiare e per gli altri istituti di assistenza e di destinare le risorse alle famiglie affidatarie. Le realtà che accolgono i minori «potranno ricevere da soggetti pubblici esclusivamente rimborsi spese da calcolare in relazione al numero di minori ospitati». Significa non conoscere la realtà: queste comunità ospitano tuttora oltre 12 mila minori e non esistono altrettante famiglie disposte a prendere questi ragazzi in affido.

Senza calcolare che in molte Regioni le spese delle comunità (fra le quali alcune storiche e rodate come la «Papa Giovanni XXIII» fondata da don Oreste Benzi) non vengono rimborsate, o arrivano in ritardo di anni o sono di molto inferiori alle spese. Dice Marco Giordano, presidente dell’associazione Progetto famiglia e padre affidatario di quattro minori: «La rendicontazione siamo disposti ad accettarla se servirà a toglierci certe stupide etichette, di cui francamente siamo stanchi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA