Il caso Mps non diventi
un’altra Alitalia

Le spiegazioni in Parlamento del ministro Daniele Franco sulla vendita del Monte dei Paschi dovrebbero bastare, ma temiamo che la politica farà ancora finta di non capire. Sentiremo ancora molte parole in libertà, buttate lì perché Mps, antico feudo di sinistra (per statuto era controllato dagli enti locali), è un boccone polemico ideale. L’ex ministro Pier Carlo Padoan che ha nazionalizzato il Monte è ora a capo di UniCredit candidato unico all’acquisto, e il seggio lasciato libero è nelle mire del segretario Pd Enrico Letta. Una tempesta politica perfetta, nella quale si può sguazzare fino a ottobre. Ma sarebbe bene non eludere la dura realtà delle cose. E cioè che lo Stato è entrato nella banca (oggi ha il 64%) per evitare un fallimento, ma entro il 31 dicembre deve uscirne, altrimenti si configura una illecita turbativa della concorrenza bancaria europea.

Ora deve tornare il mercato, e andrà bene se in questa fisiologia recuperata, UniCredit deciderà di acquisire la storica banca senese. In alternativa c’è, 6 miliardi dopo, di nuovo il fallimento, con tutto il carico di disastri di cui la politica si riempie la bocca in questi giorni processando le intenzioni del compratore. È appena stato certificato che è la banca peggio messa d’Europa, che servono subito almeno 2,5 miliardi di capitale e che la piccola ripresa in corso è la conferma che salvarla è stato giusto ma non risolutivo.

Per lo Stato tornato banchiere c’è solo da decidere tra pagare senza corrispettivo le conseguenze di una sconfitta o uscire pagando ciò che serve, nelle modalità consentite (esenzioni fiscali già previste per tutti?). Di buono c’è che in tutta Europa è in corso un generale moto virtuoso di aggregazione bancaria (promosso quando a Francoforte c’era un certo Draghi), che ha rimescolato il settore fin giù al girone dei piccoli istituti. Lo ha confermato Carlo Messina, il leader di Intesa Sanpaolo, che, dall’alto di risultati semestrali strepitosi, ricorda che in Italia possono sopravvivere solo tre grandi gruppi (sembra di sentire Marchionne quando per l’auto ne prevedeva altrettanti a livello mondiale, e avendolo capito per primo salvò Fiat portandola dentro Chrysler).

Non si dia retta dunque alle chiacchiere in libertà del dibattito molto disinformato in questi giorni. L’unico realistico è stato Antonio Misiani, diamogliene atto, visto che aveva anche l’ingrato compito di dissodare il cammino minato del suo segretario Letta, che ha avuto la cattiva idea di candidarsi proprio a Siena, aggiungendo l’incauta promessa di ritirarsi dalla politica in caso di sconfitta (un deja vu da brivido scaramantico). Certo, meglio dell’improvvisazione di una presidente della Commissione banche a 5 Stelle che se la cava chiedendo semplicemente un rinvio del 31 dicembre, secondo le buone tradizioni della peggiore italietta che spostava i problemi anziché risolverli, quella che il M5S dovevano cambiare.

Si smetta soprattutto di parlare di svendita ancor prima che il mercato fornisca le sue valutazioni, e i partiti di governo si ricordino che la trattativa é stata avviata dal loro governo, preoccupato da una scadenza sulla quale Draghi mette la faccia. UniCredit farà le sue valutazioni e speriamo che le sinergie di lungo termine siano considerate più convenienti delle considerevoli perdite secche di avvio da mettere in conto. Lo Stato, questo sì, faccia una buona trattativa, senza farsi distrarre da alternative fantasiose come la cosiddetta «Banca dei territori», un risiko delle debolezze, sintomo solo della voglia della politica di mettere nuovamente le mani in tasca al mondo bancario. E si proceda sui nodi concreti, tutti non impossibili da sciogliere. Il marchio vale paradossalmente più di quello di UniCredit e quest’ultima non lo butterà certo via. Il territorio può essere compensato da nuovi investimenti nella farmaceutica. Niente spezzatini ma si può distinguere il salvabile e fare qualche sacrificio sul resto. Quanto all’occupazione, è vero che sono in pericolo alcune migliaia dei 20 mila posti di oggi (francamente troppi), ma se c’è un settore che protegge il lavoro è quello bancario, senza neppure fondi pubblici. A piccoli passi si può evitare una Alitalia bis.

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