Il Sinodo, cammino
senza «rete»
di Bergoglio

Per capire la sfida lanciata a tutta la Chiesa da Papa Francesco con la convocazione di un Sinodo lungo due anni, consultazione inedita, senza nulla di preconfezionato, bisogna tornare alla sera di otto anni fa quando un cardinale venuto dalla fine del mondo disse dalla Loggia delle benedizioni: «E adesso incominciamo questo cammino insieme vescovo e popolo». Ora quel cammino insieme, che è il significato della parola «Sinodo», trova una sua collocazione precisa.

Il Sinodo non è un’istituzione, non è collocato in un palazzo dove solerti funzionari scrivono forsennatamente documenti da sottoporre al voto di alcuni designati. Non è una successione di eventi regolati da norme canoniche e da metodologie più o meno raffinate ed efficaci. Dunque cosa ha fatto Bergoglio? Ha sfilato la sinodalità, cioè il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il popolo di Dio, ai burocrati del Sinodo. Potremmo arrivare addirittura a dire che il Sinodo è sparito, perché alla ribalta finalmente appare con tutta la sua forza la sinodalità. C’è una parola al cuore di questo pontificato: processo. Il Papa apre processi. Lo hanno accusato di averne aperti troppi e troppo pochi chiusi. Lo hanno accusato di seguire le idee mutevoli dell’opinione pubblica per esempio sull’ambiente; lo hanno accusato di poca considerazione della tradizione, di muoversi in modo schizofrenico, di presentare riforme senza portarle alle estreme conseguenze. Insomma lo hanno accusato più volte di essere un Papa pasticcione.

Ma criticare Bergoglio ora perché non ha fissato mete ben precise, ma ha indicato rotte e affidato compiti è ingeneroso. E poi non è affatto vero che Francesco si sia astenuto. Nella Evangelii Gaudium, il manifesto del Pontificato pubblicato un anno dopo la sua elezione, indica con grande chiarezza l’obiettivo dei processi che apriva: «Non l’organizzazione ecclesiastica, ma il sogno missionario di arrivare a tutti». Cosa è tutto ciò se non la consegna principale, anzi l’unica, di Cristo alla Chiesa, che è il popolo di Dio e non qualcuno che governa qualche altro? Cosa è la missione se non il paradigma della «Chiesa in uscita», su cui Bergoglio insiste da otto anni?

Se si mettono in fila tutte le parole e i gesti che Francesco ha compiuto in questi anni, dalla prima benedizione chiesta in piazza San Pietro al bacio dei piedi ai leader del Sud Sudan che si ammazzano tra loro, all’enciclica «Fratelli Tutti», alla «vergogna» ripetuta, perché quella di Benedetto XVI evidentemente non è stata sufficiente, per lo scandalo per gli abusi sessuali, a tutto ciò che ci ha fatto stupire e meravigliare e a volte criticare, è evidente che questo pontificato ha una sola spinta, ma senza procedure predefinite: quella del Vangelo, che cammina nella storia e porta benefici. Con quali criteri, regole d’ingaggio e protocolli? La Civiltà Cattolica, la scorsa settimana, lo ha spiegato in un articolo del professor Santiago Madrigal, docente di teologia sistematica all’università di Madrid: semplicemente non ve ne sono. Perché il cammino non c’è e lo si fa solo camminando, versi presi a prestito da Antonio Machado, poeta spagnolo tra i più grandi. La meta del Sinodo è il cammino, dove tutti possano parlare senza più accontentarsi di un placet del vescovo sulla missione della Chiesa. Troppo rischioso? Poco rispettoso della Tradizione? Dicevano così anche di Angelo Roncalli quando decise contro il parere di molti di convocare un altro Concilio, il Vaticano II, essendo il primo ancora formalmente non chiuso ma solo sospeso per via dei bersaglieri entrati a Porta Pia, e un Concilio addirittura ecumenico. Sappiamo come è andata.

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