Legami di fiducia
più forti del Covid

«Il tempo passa, il Covid rimane». Amara constatazione di fine anno. I vaccini sono di grande aiuto, ma la scarsa diffusione nei Paesi poveri e le resistenze di chi non vuole vaccinarsi continuano a causare vittime e malati. Non saper indicare un termine alla pandemia, non solo fa nascere brutti presagi, ma soprattutto mette a dura prova la speranza. Abbiamo ormai compreso che nessuno ha certezze e anche virologi e epidemiologi, si guardano bene dal fare previsioni. Anche le borse oscillano in base al numero dei

contagi. Ma allora come stanno andando le cose? «Le cose vanno sempre meglio e sempre peggio nello stesso tempo» sostiene l’antropologo René Girard. Le cose «vanno meglio» perché si manifesta in modo drastico e drammatico che un certo tipo di mentalità e quindi di pratica sociale è insostenibile. Questo dato di realtà pone la questione: fino a quando siamo disposti a subire tutto questo? Quante «vite» devono essere ancora sacrificate e a quanta «vita» si deve ancora rinunciare?Siamo di fronte a quella che il poeta rumeno Paul Celan, chiama la «stretta dei tempi», la necessità di passare attraverso ristrettezze e restrizioni per poterne uscire. Si tratta di un ricominciamento, senza sapere esattamente a cosa si va incontro.

La bio-scienza ci può aiutare a superare la pandemia, ma da sola non basta a uscire dalla crisi, serve una «sinergia di saperi» che possa mostrare come sia possibile una nuova forma di vita sociale. Questa nuova convivenza ci costringe a superare la figura egoico-bellica dell’uomo «centrato su di sé» che vive le relazioni in modo prevalentemente conflittuale. Un ego costantemente alla ricerca dei propri interessi, che si dimentica degli altri o peggio li usa a proprio vantaggio e se non ci riesce li vive come nemici da combattere e eliminare. Il coronavirus ha dato un duro colpo a questa immagine di sé che la società individualista e consumista aveva costruito, mostrando la necessità di «dipendere» dagli altri per poter tutelare la nostra salute.

Per non subire però, bisogna cambiare! La natura è un continuo cambiamento, per questo non perde mai il suo dinamismo vitale. Lo stesso si impone a noi, in questo tempo di transizione. Serve una nuova immagine di uomo, fiducioso nella bontà dell’incontro con l’altro e capace di dialogo sereno e costruttivo. Un decentramento di sé che è in realtà un arricchimento vicendevole. Parimenti non può più essere il mercato a dominare la società. La logica del profitto non può sovrastare il bene comune. È tempo di riprendere a costruire comunità inclusive, a pensare a nuove forme di condivisione solidale, senza preoccuparsi del profitto economico, ma guardando all’indice di felicità che un maggior numero di persone può raggiungere. Puntare su quelli che, sociologi e economisti, chiamano «beni relazionali», che favoriscono l’incontro e la socializzazione, lasciando perdere i «beni di lusso» che scavano solchi di disuguaglianza sociale e creano nuovi poveri.

Per troppo tempo la nostra società ha creduto d’essere un mercato. Si è scambiato il bene della persona con il benessere del consumatore. Anche la democrazia si è piegata alla logica dell’economia. «È giunto il tempo di ripristinare il giusto ordine e di trovare meccanismi che assicurino a tutti una vita degna di essere chiamata umana» esorta Papa Francesco che propone un’economia «sociale» di mercato, aperta alla «dimensione comunitaria», capace di riconoscere e accogliere il contributo di tutti i soggetti economico-sociali (terzo settore, no-profit, volontariato, Caritas) e non soltanto le grandi industrie. Il nostro compito non è quello di salvare il pianeta, la terra probabilmente sopravviverà anche alla nostra specie, ma è quello di custodirlo così come lo conosciamo, salvando gli ecosistemi viventi che garantiscono l’esistenza dell’uomo.

Foreste, praterie, ghiacciai, fiumi e laghi. Insieme alle specie animali che li abitano. Ma non basta. A livello sociale vanno ristabilite le priorità: la salute per tutti e il rispetto per la vita; il lavoro che dà dignità e benessere; la cura del bene comune prima del profitto individuale; scelte politiche coraggiose volte a ridurre le disuguaglianze offrendo maggiori possibilità a chi è più penalizzato; chiedere la responsabilità sociale e etica alle imprese; favorire la transizione ecologica, adottando anche stili di vita più sobri. Maggiore cittadinanza attiva e nuove regole per la globalizzazione possono aprire la strada a una comunità mondiale, più giusta e solidale.

Cambiare non è poi così impossibile come potrebbe sembrare. C’è anche un risvolto intimo: le malattie dell’anima. La paura è diventata il sentimento dominante. Per il perdurare della pandemia, la precarietà lavorativa, l’incertezza del futuro, si fanno meno figli, aumenta la depressione tra i giovani, la richiesta referendaria di eutanasia. C’è un surplus di stress e angoscia dovuto a condizioni oggettive che va gestito. Serve un linguaggio del cuore che parli alla parte più debole delle persone. Bisogna prestare maggior attenzione al disagio psichico, a nuove e vecchie forme di devianza, al malessere psicologico, alla fragilità che sembra pervadere ogni cosa, sapendo che non possono esistere né buona sanità, né buone politiche sociali, senza la cura per le relazioni.

Senza il desiderio di spendersi per l’altro. Le case di riposo, chiuse per mesi, ci hanno fatto capire che non basta assistere gli anziani per le funzioni vitali e di prima necessità, c’è bisogno di affetto e di scambio. La relazione con i parenti va ripensata. Più assistenza sanitaria domiciliare e aumentare il numero dei posti disponibili in medicina. Per i giovani non basta accedere alle nozioni e all’istruzione tecnica, serve che la scuola e la famiglia sappiano dialogare con loro sul piano delle idee, dei sentimenti e della progettualità. Sapendo cogliere i rischi di una involuzione di crescita personale in forma autodistruttiva o violenta nei confronti degli altri. In tempo di «passioni tristi» serve un pensiero affettivo forte che li aiuti a guardare al futuro con coraggio, fiducia e ottimismo.

Il percorso è fatto da relazioni con soggetti maturi capaci di creare legami di fiducia e ricchi di gesti di generosità autentica. Anche con i social, sempre di più i veri grandi collettori sociali, bisogna trovare modi per far percepire la vicinanza affettiva, una presenza che infonda fiducia al di là dell’apparire. È questo il tempo di una maggiore consapevolezza che i mali del mondo dipendono da noi; che alle forze disgregative si risponde coltivando legami di amicizia e fraternità. Ma la fraternità è fragile, come la coscienza, fragile come l’amore la cui forza tuttavia è inaudita. La via del nuovo anno è incerta, che nessuno venga lasciato solo, senza un affetto. «Il Signore stesso cammina davanti a te. Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà. Non temere e non perderti d’animo!» (Deuteronomio 31,8).

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