“Misteri della vita”: quando la poesia incontra l’esistenza

La poesia è la forma d’arte al tempo stesso più antica e complessa al mondo. È la via elettiva per l’espressione delle emozioni , il luogo della suggestione che colma l’impossibilità della parola di esprimere i sentimenti e narrare le esperienze più intime. È un’esperienza emotiva capace di modificare in pochi istanti il nostro punto di vista, il modo in cui pensiamo e in cui vediamo il mondo attorno a noi. Come strumento immortale e al tempo stesso profondamente attuale, la poesia riesce a intercettare le infinite sfaccettature dell’essere umano, dalle più oscure alle più luminose: la nuova raccolta poetica di Mario Mocci si rivela in questo senso una piccola gemma, profondamente espressiva e poliedrica nella sua essenza.

“Misteri della vita” , pubblicata per il Gruppo Albatros il Filo, è una silloge che si addentra nelle contraddizioni dell’essere umano, esplorandone i vizi e le virtù con ritmo e musicalità . Lo fa con sguardo attento e sagace, capace di scavare nel profondo con forza, senza mai risparmiarsi. Spesso i toni di Mocci sono duri – lo intuiamo già dai titoli di certi suoi componimenti, che si rifanno ai vizi capitali o a scenari desolati – ma nonostante ciò la sua poetica non cede mai alla disillusione. Al contrario, il suo è uno sguardo profondamente ottimista e fiducioso nei confronti degli uomini e della loro innata bontà. La durezza assertiva dell’autore infatti non si trasforma mai in critica moralistica: il suo ruolo è piuttosto quello dell’ osservatore attento , che attraverso la propria spiccata sensibilità può restituire al lettore uno scorcio su una realtà non sempre rosea. Allo stesso tempo l’esaltazione della virtù non vuole indicare una linea di comportamento da seguire pedissequamente: sono lampi di luce – perdono, umiltà, empatia, fedeltà – qualità che l’uomo porta con sé dalla nascita e che ha bisogno di alimentare quotidianamente, perché non si affievoliscano.

Nell’offrire al lettore il proprio punto di vista e una collezione delle esperienze più significative che ha vissuto, l’autore tenta di scuotere delle coscienze spesso intorpidite, piegate al conformismo e alla logica di massa. È infatti tra le prime poesie della silloge che campeggia il titolo “Anticonformismo” : Mocci lo descrive come il più alto senso di libertà, lo spirito di chi non si piega al volere altrui e conserva il coraggio di scegliere : “È definito un asociale, esce fuori dalla massa, / il suo problema infatti, è il pensar tradizionale, / dove delle altrui teorie, altri spesso fan man bassa, / non curandosi se il gesto, non sia tanto leale.” Non ha bisogno di alzare la voce per guadagnare attenzione o rispetto, quello è un atteggiamento che l’autore lascia al conformista: la tenacia di chi si muove “in direzione ostinata e contraria” – per citare l’anticonformista per eccellenza – rimane incomprensibile per molti, ma forse per questo straordinariamente preziosa .

Il motore immobile della produzione poetica di Mario Mocci è l’ amore : è alla luce di questo sentimento che anima il suo poetare che il lettore non può rimanere tiepido di fronte ai quadri della contemporaneità qui proposti. La povertà, l’immigrazione, la pandemia, la crisi economica e il dramma della guerra che, dopo oltre settant’anni, è tornato a scuotere un’Europa che si sentiva ormai lontana dagli orrori che hanno funestato il secolo scorso, sono soltanto alcuni tra gli argomenti scottanti che Mocci non ha timore di approfondire e denunciare. Ancora più significativo è che la sua ribellione passi proprio attraverso le parole, lo strumento più potente del quale possiamo disporre: in un’epoca che possiede le più avanzate tecnologie per la comunicazione, sembra surreale la crescente incapacità di entrare in contatto con l’altro , di parlarsi e condividere emozioni e punti di vista. Ecco allora che la soluzione ben si incarna nella riscoperta dell’ empatia . Citiamo a questo proposito alcuni versi del poeta: “Aiuta senza indugi, chi ti cerca nel bisogno, / chi sovente nella vita ha le sue difficoltà. / Spesso solo una parola, può ispirare un grande sogno, a chi costantemente, crede nella tua bontà. […] Non dovranno esserci scuse, nello stare a diffidare, / di ognuno che s’incontra, sulla propria nuda strada, / l’unica alternativa, resta quella di aiutare / chi tende a te una mano, ti vada o non ti vada”.

Il sottotitolo dell’opera, “ Immoralità e virtù dell’Umanità – Luoghi ”, suggerisce l’ulteriore prospettiva che Mocci ha scelto di offrire al lettore: uno sguardo rivolto tanto all’interno quanto all’esterno, al tangibile. Il viaggio tra i luoghi dell’autore è di per sé profondamente attuale: la Sardegna , terra natìa di Mocci, è il luogo che ha scelto di abbandonare, con tristezza e un velo di delusione. Essa rimane tuttavia il luogo del ricordo, degli affetti e della nostalgia, colei che, come un’amante, è presente anche nella sua assenza. Toccanti sono le parole rivolte a questa terra ricca di misteri e tradizioni: nella poesia “Sardegna mia” leggiamo infatti “Non vidi l’ora di lasciarti, oh cara terra mia, / per la fittizia noia, che mi annebbiò la mente. / Mi accorsi senza indugio, dell’immane tua assenza, / come una sferzata a nuda pelle, che avvolge la mia vita. / Mai potei pensare, che l’amore che ho per te, / potesse soggiogare il cuore mio, a tal tribolazione”. Scorgiamo tra questi versi la totalità dell’arco emotivo dell’autore, che dal rifiuto e dal desiderio di allontanarsi scopre poi il senso di una mancanza viscerale. Il colpo di scena arriva nella seconda metà del componimento, che lo vede ricongiungersi alla sua terra, scoprendola nuova , ma al contempo mai diversa: “Ma or che son tornato, bacio la mia terra, / e m’accorgo dei profumi, della brezza e la tempesta, / che un tempo non notavo, e neppure ho apprezzato, / ed or che son più vivo, riunisco a te il mio sogno, / il sogno di tornare, a viverti di nuovo / ma sotto un altro aspetto, quel che mi ha turbato. / Non sono ancora conscio, forse non del tutto, / poter vederti ancora, ma un po’ meno conosciuta, / i volti e le persone, non sono più le stesse, / ma ciò che le accomuna ahimè, ancora non lo sanno”.

In “Misteri della vita” non manca poi la componente sentimentale: essa è infatti strettamente intrecciata alla ricerca del senso più alto della vita. Le poesie dedicate alla donna , musa dei suoi giorni e dei suoi sensi, risuonano della passione e della quotidianità degli amori antichi, senza tempo, e per questo destinati a durare per sempre. La famiglia, gli affetti più sinceri, gli amici di una vita si animano e prendono forma tra i versi, testimoni di quello stesso amore del quale Mocci sceglie di farsi portavoce.

Lo stile poetico dell’autore è fortemente personale ed espressivo: il suo è un verso disteso, quasi narrativo, nel quale si rileva una attenta ricerca formale , attraverso una struttura in quartine e il ricorso quasi esclusivo alla rima alternata. Il ritmo delle poesie segue così una musicalità lieve e armonica, tanto coerente nell’intera raccolta da apparire, come ben leggiamo in prefazione, come lo scorrere di “un fiume lento e silenzioso”.

Riflettere, dunque, e lasciarsi guidare da emozioni forti e autentiche è il fulcro attorno al quale ruota l’intera opera di Mocci: tra osservazioni, esperimenti di mimesi e slanci sentimentali e romantici, “Misteri della vita” brilla della luce di una libertà autentica, scevra dai condizionamenti e dalle gabbie dell’ indifferenza : una pluralità di voci che intonano un’unica, armoniosa melodia.

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