«A Perth faccio il badante
per gli italiani anziani»

Sfogliando il suo quadernino rosso ci si potrebbe imbattere in frasi come «Scusa, mi passeresti una spugna per mangiare la checca di fine lancio?». Oppure: «Sai dove si trovi il mio buco dei cecchi?».

Colui che trascrive scrupolosamente ognuna di queste «perle linguistiche» si chiama Sergio Gustinetti, 35enne di Albano Sant’Alessandro, da 15 anni in giro per il mondo. Nel 2005 si è trasferito in Australia e a Perth, dove risiede attualmente, si occupa di assistenza domiciliare per conto di «Italo-Australia welfare», una associazione che oltre a promuovere la lingua e la cultura del Bel Paese offre aiuto ai tanti conterranei emigrati dagli anni Cinquanta in poi. Persone che, come sottolinea Sergio ridendo «ormai non parlano più l’italiano e non dominano nemmeno l’inglese. La loro vera lingua è un miscuglio di dialetto e anglicismi storpiati». Ne consegue un variopinto vocabolario di neologismi tanto bizzarri quanto graziosi. Dove spugna sta per spoon (cucchiaio), checca significa cake (torta), lancio è pranzo (lunch) e il buco dei cecchi è il «cheque book» (libretto degli assegni).

«Mi diverto ad annotare tutti questi modi di dire, che a volte portano a equivoci paradossali. Non sempre li riesco a decifrare e i primi tempi era davvero difficile capire cosa mi stessero dicendo i miei anziani clienti. Ormai sono diventato un profondo conoscitore di dialetti meridionali: capisco alla perfezione il siciliano, il calabrese e l’abruzzese. La scorsa settimana, poi, mi è successa una cosa incredibile: ho conosciuto una nuova collega, nata e cresciuta in Australia da genitori orobici, che non sa mezza parola d’italiano e parla solo il bergamasco: sarà uno spasso comunicare con lei».

E prosegue: «Il mio lavoro consiste nel fare compagnia a queste persone, ma anche portarle in giro, accompagnarle a fare la spesa o, nei casi più difficili, occuparmi della loro cura medico-personale». Una vocazione, quella di prendersi cura dagli anziani, che Sergio maturò quando, diciannovenne, svolse il servizio civile ad Albano Sant’Alessandro. «Ho fatto un anno come obiettore, lavorando presso i servizi sociali del Comune. Seguivo un anziano affetto da demenza: fare i conti, così giovane, con la vulnerabilità e la precarietà della nostra esistenza, mi ha scosso profondamente».

E fu proprio la morte di quel vecchietto a far nascere in lui il desiderio di conoscere il mondo. «Come quasi tutti i miei coetanei amavo ripetere che, una volta conseguito il diploma da grafico pubblicitario, sarei andato in giro per il mondo. La realtà è che mi mancava il coraggio; poi, quando vidi spegnersi quell’uomo, capii che la vita è breve e, soprattutto, che la vita è adesso».

Spinto anche dal desiderio di diventare una rock star Sergio, che fin da ragazzino suonava la chitarra e scriveva canzoni, segue la più ovvia delle direzioni: gli Stati Uniti. Essendo un amante del country, sa anche dove andare: in Oklahoma. L’obiettivo è quello di imparare la lingua e trovare l’ispirazione: finisce in un contesto decisamente pittoresco. «Avevo trovato lavoro come stalliere: tutto il giorno a spalare fieno, e pulire i cavalli. Dopo tre mesi conoscevo solo tre parole: “fork” (forca), “horse” (cavallo) e “wheelbarrow” (carriola). Non vedevo l’ora di tornarmene ad Albano».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della Comunità Bergamasca. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per tre mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected]

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