Ancora vivi

Prima di mettermi ad abbaiare contro il governo per l’idea di legare le pensioni di reversibilità all’indicatore Isee, vale a dire al patrimonio, e non più soltanto al reddito, vorrei saperne, in materia, molto di più. Troppo spesso, di questi tempi, si prende occasione per attaccare qualcuno o qualcosa alla sola ombra di un sospetto e, sempre, il movente di tali incursioni è meno che disinteressato.

È perfino possibile, in termini di contabilità, che lo Stato possa realizzare qualche giusto e innocuo risparmio. O magari trattasi effettivamente di carognata: il dubbio persiste, e l’aver troppe volte sentito gridare “al lupo” non aiuta a dissiparlo.

Se non altro, la materia esigerebbe immediata chiarezza perché, qui, si sconfina dal piano, pur delicato, dei diritti e dei doveri dei cittadini per inoltrarsi nell’Aldilà, territorio nel quale non risultava lo Stato fosse ancora riuscito a imporre le sue aliquote.

Ironie a parte, di tutti i poteri che possiamo e dobbiamo concedere all’autorità, quello che mi provoca più istantanea repulsione è la disinvoltura nello stendere sui cittadini la preoccupazione che, nel caso si abbia l’imprudenza di morire, i famigliari superstiti possano trovarsi in difficoltà. Lo Stato si arroga molti diritti nei confronti dell’individuo: può metterlo in prigione, incassa parte – cospicua – dei suoi guadagni, pretende rispetto e arriva a esigere, in qualche caso, la vita stessa del cittadino. Non mi sembra giusto che, adesso, per qualche idea ragionieristica più o meno pasticciata, arrivi a insinuargli il sospetto che la sua morte potrebbe provocare, oltre a dolore spirituale, anche disagio materiale. Ci vuole coraggio, da gente qualunque, per alzarsi ogni mattina e pensare all’architettura politica e istituzionale che vediamo dalla finestra come a qualcosa di ancora utile o addirittura di necessario. L’idea che la cialtroneria e il pressapochismo possano perseguitarci nell’oltretomba è spaventosamente intollerabile. Meglio chiarirlo subito, finché siamo ancora vivi.

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