Esperto in niente

Scrivere ogni giorno in questo spazio fa di me precisamente ciò che non voglio essere: un tuttologo. Scegliere un argomento, presentarlo, svolgerlo, commentarlo: c’è qualcosa di più arrogante? Si direbbe - rabbrividisco al pensiero - che io sia un esperto. Di che cosa, non si sa: evidentemente, dell’argomento quotidiano che la mia prosa scarna non si vergogna di affrontare.

Per fortuna, proprio come accadeva una volta nei western, all’ultimo minuto una carica di cavalleria irrompe a salvarmi. La cavalleria è rappresentata dal pensiero che per parlare di qualcosa non è necessario essere esperti, basta presentare le proprie idee con chiarezza, onestà intellettuale e apertura mentale. E, naturalmente, disporsi ad accettare le critiche.

Parrebbe un alibi confezionato su misura, ma si dà il caso che non sia così. Addirittura, l’essere «esperti» in una certa materia potrebbe inibire la libertà di esprimersi su di essa. È questa la tesi espressa da uno studio della Loyola University di Chicago: esperienza, competenza e padronanza della materia sono tutte belle cose ma conducono inevitabilmente a una certa ristrettezza del pensiero. Tanto più a lungo ci siamo impegnati in un’attività, meno riusciamo a contemplarla sotto una luce critica: nessuna nuova idea in proposito ci sembra accettabile e, addirittura, pensiamo che non ci possano essere nuove idee: altrimenti sarebbero venute a noi. E a chi, sennò?

Par quasi che la definizione di «esperto” sia un fortino nel quale rinchiudersi per proclamare la fine, almeno per quanto ci riguarda, di ogni processo di crescita. Le novità, per essere accolte, dovranno conformarsi alla nostra visione della materia e, di conseguenza, essere novità «vecchie».

Ciò premesso, è con soddisfazione che vi assicuro di non essere esperto in niente. Semmai, nello sforzarmi di mantenere la mente aperta. Ma anche su questo, non ci giurerei.

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