Parte seconda

I Sonetti sono cosa fatta, ovvero letta, ma per quel che riguarda le opere teatrali la faccenda è diversa. La si può riassumere richiamando l’immagine di un libro quasi tremila pagine - «Tutto il teatro» - che giace sul mio comodino. Da mesi. Non è vero: da anni.

Il segnalibro è affondato da qualche parte in mezzo a «Enrico IV, parte II»: devo ammetterlo, mi sono incagliato in mezzo agli Enrico e non riesco più a venirne fuori. Per fortuna, ciò è accaduto dopo l’incontro con la bellissima traduzione che Montale fece di «Amleto» e dopo tante altre pagine di felice lettura: «La tempesta», «La allegre comari di Windsor» (lo strepitoso Falstaff...), «I due gentiluomini di Verona», «Sogno di una notte di mezza estate», «Il mercante di Venezia» eccetera eccetera.

Questo per dire che ieri, durante le celebrazioni per i 400 anni dalla morte di William Shakespeare - celebrazioni ormai virtuali, fatte di «post» e di «link», di «tweet» e di video - mi sono scoperto, viste le mie incomplete letture, alquanto piccolo e ignorante. Non saprei quantificare il numero delle dotte citazioni che ho visto fiorire in Rete: non soltanto quelle sempre pronte all’uso - da «Essere o non essere» e «Il mio regno per un cavallo» fino a «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia» -, ma anche altre davvero sapienti, quasi oscure, perfino irrilevanti, tanto da far sospettare che siano state ricavate dall’apertura di un tomo caduto sull’alluce.

Scherzo, naturalmente: non voglio certo lanciare accuse a casaccio e sostenere - senza prove - che dietro a tanta sapienza ci sia l’aiuto di Wikipedia o del caso. Vorrei però sottolineare come il risultato finale sia una sorta di cacofonia poco celebrativa e molto caciarona: meriterebbe di essere attenuata tramite la lettura di Shakespeare, lasciando da parte per qualche ora lo sbandieramento social. Da parte mia, prometto di vedermela con «Enrico IV»: chissà che non riesca ad arrivare alla seconda parte della parte seconda.

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