Paleari: «Bergamo deve portare
la sua Università nel mondo»

Con 15.400 studenti, 551 tra docenti e personale amministrativo, e tutto l’indotto, l’Università degli studi di Bergamo ha gli stessi numeri dell’aeroporto di Orio al Serio. Un ateneo al terzo posto in Italia per inserimento lavorativo dei laureati entro due anni dal titolo accademico.

«L’Università ormai è grande: ora portiamola nel mondo» spiega il rettore Stefano Paleari. E con l’università viaggerà tutta la provincia. «Francia, Germania e Inghilterra hanno Stati che investono sulla ricerca, il nostro Paese si è tirato indietro - osserva -. Possiamo perdere il treno, oppure attivarci come territorio per dare ai nostri figli la carta verso l’Europa e il mondo». Paleari è il più giovane rettore d'Italia con i suoi 44 anni. Ecco alcuni passi della sua lunga intervista concessa a L'Eco di Bergamo e pubblicata sull'edizione di domenica 29 novembre.

Che università ha trovato?
«Negli ultimi dieci anni la nostra università ha conosciuto uno sviluppo impressionante. Siamo passati da 8.000 a 15.400 studenti, abbiamo raddoppiato il numero di docenti e personale amministrativo. Ci è servito per assumere una dignità forte rispetto agli altri atenei lombardi e variegata per offerta formativa, con sei facoltà differenti. Era la condizione indispensabile per procedere alla seconda fase: il consolidamento dell’ateneo di medie dimensioni, articolato, indipendente e non in soggezione rispetto a quelli che già esistono».

Com'è questa generazione di studenti? Bamboccioni?
«Non ho questa sensazione: abbiamo molti ragazzi che si costruiscono la vita mentre studiano. Vivono da soli e scelgono la formula studio e lavoro. È una generazione che si sta rendendo conto della complessità del mondo in cui vive. Mi sembravano più bamboccioni 15 anni fa. Mi paiono molto pragmatici: ti chiedono anche con insistenza cosa gli serve per arrivare al loro obiettivo. Sanno che il mondo corre veloce, come una grande onda e loro si attrezzano con la tavola da surf giusta per cavalcarla al meglio. In questo sono sempre più globali: simili agli studenti dei campus anglosassoni o indiani. Vorrei fossero più riflessivi senza essere assemblearistici».

Quale sarebbe l’idea di università che lei propone?
«Quella di un programma "Bergamo nel mondo", in cui chiedere al territorio di sostenere economicamente percorsi di internazionalizzazione ed eccellenza per portare l’ateneo da Città Alta, dove è nato, in tutto il mondo e viceversa. E con l’università viaggerà tutta la provincia. Immagino lo skyline delle Mura venete in un bel cartellone nelle vie d’accesso alla città (autostrada ed aeroporto in primis) in cui si dice: Bergamo e la sua università».

Ci faccia capire allora quali sono i punti di forza e di debolezza della nostra università?
«I punti di forza sono la multidisciplinarità, la dimensione raggiunta, il fatto che sia percepita come una realtà consolidata. Le debolezze: non è equilibrata per i finanziamenti, ancora non ha esplicato il suo potenziale per come è percepita oggi, non è del tutto accreditata dal punto di vista istituzionale».

Il Sole 24 ore vi ha messo in fondo alla classifica del ministero sulle università italiane...
«La recente classifica del ministero è stata stilata su dati quantitativi, non di bravura. Ad atenei più grandi e storici, arrivano più fondi. Al nostro ne arrivano pochi, ma non è detto che siamo meno meritori. A luglio infatti eravamo quarti in una classifica che misurava i parametri della ricerca e dell’internazionalizzazione».

Par di capire che in fatto di finanziamenti dallo Stato non brilliamo…
«Non dobbiamo prenderci in giro: quanto viene speso per l’università in Italia? Circa 4.400 euro per studente: sette miliardi complessivi su un milione 600 mila studenti. Quanti ne riceve Bergamo? Per ogni giovane 2.400 all’anno. Non possiamo parlare di un fondo di riequilibrio, non c’è mai stato neppure l’equilibrio».

Vorrebbe un fondo di equilibrio?
«Vorrei essere trattato come tutti gli altri. È vero che non abbiamo la facoltà di medicina (che viene finanziata di più, ndr), ma abbiamo ingegneria: supponiamo che il finanziamento che ci spetti sia di 3.400 euro per studente. Mille euro in più per studente sono 15 milioni di euro all’anno, mica pochi. Da domani discutiamo il bilancio in Senato accademico e poi nel Cda. Abbiamo ricevuto gli stessi soldi dell’anno scorso: un po’ me li hanno tolti, poi me li hanno ridati perché siamo stati bravi. L’anno venturo il ministro Tremonti mi dice che mi toglie il 9%, e poi me lo ridà se sono bravo e per il secondo anno io ho un bilancio costante. Se tutti i comparti della pubblica amministrazione facessero così, non dico che arriveremmo al pareggio di bilancio in due anni, ma quasi. Dobbiamo esserne consapevoli: voglio trasmettere al territorio il messaggio che c’è una realtà fantastica fatta di almeno 15 mila persone che sta viaggiando in un circuito di Formula 1 con una macchina di Formula 3. Questo è un problema politico che voglio porre anche ai nostri parlamentari».

Come inciderà l’imminente decreto Gelmini per la formazione su Bergamo? Chiuderanno dei corsi di laurea?
«Le nostre simulazioni ci dicono che l’offerta formativa è equilibrata anche per i nuovi parametri: sostanzialmente confermiamo ma con qualche aggiustamento. E con un bisogno di personale docente su giurisprudenza».

Il disegno di legge Gelmini rivede anche la progressione delle carriere dei docenti e il ruolo dei ricercatori. Che succederà qui?
«Sono preoccupato perché metà del nostro organico è composto di ricercatori, ma nel disegno di legge è una figura che non ha chiarezza evolutiva. Si tratta comunque di un disegno di legge e mi auguro che il Parlamento svolgerà le sue funzioni e apporterà eventuali modifiche».

Ci sarà il corso di laurea in Filosofia?
«Il corso di laurea è in fase istruttoria: ha ricevuto il parere favorevole il 30 settembre scorso dal Comitato universitario regionale e sarà tra poco al vaglio di quello nazionale. Riceveremo la risposta tra qualche mese».

Ha qualche progetto sulla sede di Treviglio, considerando lo sviluppo futuro della Bassa ma anche il numero esiguo di iscritti?
«Credo che l’apertura della sede distaccata di Economia sia stata positiva, ha avuto partner importanti ed è in un posto strategico: se non ci fossimo andati noi ci sarebbe andato qualcun altro. Noi dobbiamo ragionare in termini di interazione strategica. Non è detto che, in futuro, non assuma anche un profilo di ricerca e non solo di didattica».

Abbiamo capito che l’università è il piano di partenza della cultura. Lei è un grande studioso di aeroporti: è Orio il piano da cui ripartire a livello industriale?
«Io penso di sì: Orio è la porta d’ingresso di chi viene da lontano. Oggi possiamo costruire un percorso di sviluppo a partire da lì. È una straordinaria opportunità, anche se non illimitata. Ho girato molto il mondo e Bergamo è conosciuta: prima si riferivano allo scalo di Milano Orio adesso dicono Bergamo. Forse è giunto il momento di ripensare il nome dell’aeroporto, ma non è compito mio».

Chi sono gli amici dell’università in questo momento?

«Vedremo. Prendo ad esempio l’università pubblica di Berkeley in California. Ho in mente la parete all’ingresso con i nomi delle persone che hanno sostenuto e reso grande l’ateneo. Se la parete dell’Università degli studi di Bergamo rimarrà vuota, significa che io ci ho provato e ho perso. Abbiamo perso».

Per riassumere: finanziamenti ridotti e amici da trovare…
«Bè, mettiamola così, partendo da zero qualunque cosa è di più. Ma ci dobbiamo provare: è un’idea di città e di mondo che chiedo di sposare».

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