Truffa all'Ue: 14 anni a Bellavita
Risarcimenti per 6,5 milioni

Quattordici anni a Gianpaolo Bellavita, ex assessore provinciale al Bilancio di Forza Italia, dodici a sua sorella Stefania, e inoltre un maxi risarcimento provvisionale: 100 mila euro ad Alba Gambirasio, dalla quale era scattata la denuncia, 1.547.393 euro al ministero dello Sviluppo economico e 5 milioni di euro all'Agenzia delle entrate.

È l'esito del processo per truffa all'Unione europea, fatturazioni false per evadere l'Iva, falso e altri reati. Il pm aveva chiesto 8,5 anni sia per Bellavita, sia per la sorella Stefania. Il dibattimento si è retto su 30 capi di imputazione, ma comunque rischia - da qui alla Cassazione - la totale prescrizione (alcuni episodi sono già prescritti), visto che è durato in tribunale quasi 4 anni, con udienze-repliche dovute al mutamento della composizione del collegio giudicante.

L'inchiesta era partita nel 2003 e i due fratelli, titolari di due studi commercialisti a Bergamo e Martinengo, erano finiti sotto inchiesta con altre persone, le cui posizioni sono state stralciate. Caduta in udienza preliminare l'associazione per delinquere, il processo ai Bellavita si è composto di vari filoni, fra cui quello siciliano che contempla la presunta truffa all'Ue.

I due fratelli, secondo l'accusa, avrebbero utilizzato un'azienda di detergenti del Siracusano per fare la «cresta» sui finanziamenti (un milione e mezzo di euro) ricevuti da Bruxelles riguardanti l'acquisto di macchinari, spacciati come nuovi e invece acquistati da fallimenti e risultati - per il pm - obsoleti. Un'operazione, ha sostenuto l'accusa, architettata «al solo scopo di ottenere finanziamenti per le aree depresse», grazie ad «artifizi contabili».

I Bellavita, inoltre, per il pm Rota sarebbero anche al centro di una fitta rete di società «cartiere», rette da «teste di legno» («persone anche pregiudicate che nulla capivano di gestione, ma che si sentivano gratificate dalla carica e dai compensi promessi»), per emettere fatturazioni fittizie utili a evadere le imposte.

La difesa ha puntato sulla prescrizione la difesa. L'avvocato Andrea Belometti aveva rimarcato, sentenza della Cassazione alla mano, «che le dichiarazioni dei testimoni convocati in aula solo per dire se confermano quanto reso nelle udienze davanti al vecchio collegio, sono inutilizzabili se qualcuno (come aveva vanamente fatto la difesa, ndr) si oppone».

Il difensore, invocando l'assoluzione per i Bellavita, aveva comunque sostenuto che quelli al Sud erano investimenti reali e non truffe. Quanto alle fatturazioni fittizie, era ovvio, per il legale, che si trovassero negli studi dei due fratelli, «che da commercialisti sono tenuti a registrare le fatture che i clienti gli portano. Il che non vuol dire che è stato il commercialista a emetterle».

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