Giornata dei migranti, il vescovo:
«Basta a un mondo di trincee»

Una Messa colorata, segnata anche da ritmi e musiche non usuali sotto le nostre navate. Un rito che ha confermato quanto il vescovo Francesco Beschi ha detto nell'omelia: «Siamo una sola famiglia umana, dobbiamo diventare una sola famiglia umana».

Una Messa colorata, segnata anche da ritmi e musiche non usuali sotto le nostre navate. Un rito che ha confermato quanto il vescovo Francesco Beschi ha detto nell'omelia: «Siamo una sola famiglia umana, dobbiamo diventare una sola famiglia umana... perché apparteniamo a un unico genere umano, ma questo non basta: bisogna sviluppare il legame profondo con e fra ciascun essere umano, la necessità di legami più veri, più autentici... Non possiamo più vivere in un mondo fatto di trincee... a cominciare da noi stessi, dalle nostre stesse famiglie e paesi, comunità...».

Nella chiesa parrocchiale di Nembro gremita di fedeli, il vescovo Beschi ha presieduto la Messa, nella Giornata dei migranti e dei rifugiati, introdotta da una piccola processione di cittadini immigrati in abiti tradizionali: filippini, senegalesi, giapponesi, brasiliani... La liturgia, celebrata in diverse lingue, ha concluso un pomeriggio di festa, di giochi all'oratorio di Nembro, intrattenimenti all'insegna della fratellanza fra le diverse etnie.

Il parroco di Nembro, don Santino Nicoli, ha portato il saluto della comunità in italiano e in spagnolo (don Santino ha trascorso diversi anni in Bolivia come missionario). Il vescovo ha sottolineato come quella di ieri sia stata la 97° Giornata mondiale del migrante e del rifugiato: «Quindi da molto tempo questa realtà è all'attenzione della comunità cristiana».

Il vescovo ha impostato la sua riflessione inizialmente sulle parole del Santo Padre: «Una sola famiglia umana», una sola famiglia che abita un'unica casa. Una sola famiglia dove i diversi popoli che si incontrano possono sviluppare il nostro mondo, allargare il nostro orizzonte fino a comprendere come davvero viviamo in una sola casa. E il vescovo ha affermato che per il cristiano ancora di più il genere umano rappresenta un'unica famiglia in quanto «siamo figli di Dio, fratelli e sorelle in Gesù senza distinzioni e senza limiti».

E il vescovo ha citato la frase evangelica che fa parte della preghiera eucaristica, «il sangue di Cristo, il sangue dell'alleanza, versato per noi e per tutti». Per tutti gli uomini, ha sottolineato il vescovo, per ciascun uomo. La cui dignità va quindi a maggior ragione sempre difesa, mediante una lotta non violenta. Il vescovo non ha negato il momento difficile dei Paesi occidentali, anche del nostro Paese. La crisi dell'occupazione, la crisi demografica, la crisi di identità. E ha esortato a riconoscere la propria identità, le proprie radici cristiane. Che ci identificano e allo stesso tempo ci accomunano ai popoli che europei non sono, ma che hanno ricevuto lo stesso battesimo, che leggono lo stesso Vangelo, che sono «tutti nello stesso spirito».

Il vescovo ha ricordato il valore della carità, dell'amore: «La carità - ha detto - è il criterio che prova l'autenticità di ogni celebrazione eucaristica... Siamo fra gli ultimi Paesi europei come accoglienza per studenti e per rifugiati politici stranieri... occorre fare un esame di coscienza. Ancora una volta la nostra coscienza ci interpella». All'offertorio due uomini e due donne filippini hanno portato candele a passo di danza, seguiti da una famiglia di senegalesi che portavano frutti e pane e da bambini di diverse etnie che hanno trasportato un grande mappamondo gonfiabile. Il vescovo li ha accolti con un sorriso commosso.

Paolo Aresi

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